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martedì 13 novembre 2018

API BARBERINI E LEZIONI DI ETNOLOGIA - ARTICOLO DI ANGELO CAMERINI

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO 
INTERESSANTE CONTRIBUTO
DEL DR. CAMERINI








le api di Santa Maria in Cappella a Roma

di ANGELO CAMERINI



Il complesso di Santa Maria in Cappella è un gioiello di rara bellezza. E non solo per un apicoltore.
Nascosto in un angolo di Trastevere vicino all'antico porto di Ripa, sfugge ai grandi flussi turistici che affollano la città. Io stesso che vivo a Roma da più di cinquant'anni e che da oltre trenta non perdo occasione per “inseguire” le immagini delle api e della storia dell'apicoltura non ne sapevo nulla.
Così la prima domenica di gennaio, quando a Roma i musei statali e comunali sono aperti e gratuiti, dietro segnalazione della professoressa Colombo Nieddu, che lo aveva appena visitato, sono andato a cercarlo. “Ci dovrebbero essere delle api che ti interessano”, mi ha detto. E mi sono precipitato.
Ma andiamo con ordine. Il nome, Santa Maria in Cappella, non proviene da una cappella, di cui la chiesa è sprovvista, ma probabilmente da un epigrafe che si trova all'interno : “Sanctae Mariae Quae Appella...”. Da quella mal interpretazione il popolo romano ha finito per pronunciare “cappella”. 1)
L'ho chiamato “ complesso” perchè  il posto comprende tanti ambienti. La piccola chiesa a tre navate divise da colonne di spoglio, e affiancata da un pregevole campanile in mattoni che contiene la più antica campana di bronzo in uso a Roma, il tutto fondato ex novo da papa Urbano II nel 1090.
Il “Giardino delle delizie”, ideato da Donna Olimpia Pamphilij nel '500, che ha ancora una grande vasca con pesci rossi e gli agrumi che da lei erano stati fatti piantare. In origine questo giardino conteneva le vasche dove si bagnavano Donna Olimpia e i suoi ospiti, e  degradava verso le sponde del Tevere dove lei attraccava con la sua barca. Con l'arrivo dei Piemontesi che costruirono i muraglioni per bloccare le frequenti inondazioni questa continuità è stata interrotta.
C'è poi il museo, che contiene, tra l'altro, una pregevole ricostruzione di un antico hospitale dei poveri, fondato nel 1857 da Filippo Doria Pamphilji che incaricò di questo l'architetto Andrea Busiri Vici.

Infine, in piena continuità con l'Ospedale dei Cronici, separato solo da una porta a vetri accostata, un ospizio, tuttora attivo, frequentato da anziani, romani ed extracomunitari.
A creare il complesso fu  la nobildonna Olimpia Maidalchini. che si fece donare chiesa e terreno dal cognato Innocenzo X. Con i suoi ricchi matrimoni era diventata la donna più ricca e potente di Roma, tanto da condizionare la scelta dei futuri Papi. Per questo venne soprannominata dal popolo romano, con disprezzo, “la Pimpaccia”.
donna+olimpia
Ma veniamo alle nostre api. All'ingresso ho chiesto ai due gentilissimi custodi dov'era il mosaico con le api : “Anche lei è venuto qui per il mosaico? Pensi che quache giorno fa è venuto qui Vittorio Sgarbi che ha voluto vedere solo quello. E ha scattato decine di foto. Guardi sul lato destro,dentro la chiesa e lo troverà”.
Il micromosaico 2), in effetti, è murato in un angolo, in basso vicino alla porta, non proprio in una posizione centrale e non è segnalato da alcun cartello. Anche gli intonaci intorno non sono in buone condizioni. Misura 69 centimetri di altezza, 41 di larghezza massima, nelle braccia della Croce, e solo 22 centimetri di larghezza alla base.



Il micromosaico di Santa Maria in Cappella a Trastevere con croce e cinque api

(foto di Angelo Camerini)


Vi compaiono le api Barberini e la fronda d'ulivo dei Pamphilij. L'opera è attribuita al Bernini, che l'avrebbe fatta realizzare da Giovan Battista Calandra in micromosaico (mosaico filato) in occasione del giubileo di Urbano VIII Barberini, nel 1625, per la basilica di S. Pietro, come sigillo della porta santa alla chiusura dell'evento. Bernini era  nato a Napoli nel 1598, e all'epoca della sua realizzazione, aveva meno di trent'anni.
Quando Innocenzo X Pamphilji riaprì la porta santa per il suo giubileo, nel 1649, ruppe simbolicamente il sigillo (sono ancora visibili le tracce del martello lungo il profilo del mosaico) e ne fece dono al cardinal nipote (nipote di donna Olimpia, Francesco Maidalchini), e per questa via il piccolo mosaico venne riposizionato sullo stipite della porta della chiesa, che era divenuta la cappella privata dell'adiacente giardino di donna Olimpia in Trastevere.
Il Bernini era alla sua prima prova con le api : presto avrebbe proposto al Papa di sostituire con tre api i tre tafani, antichi simboli araldici della sua famiglia. In origine infatti i Barberini si chiamavano Tafani da Barberino. 3)

Certo le api, e in particolare le api regine, simbolo di laboriosità, purezza, capacità di comando, di orientamento ed abilità nella costruzione dei nidi con celle esagonali, avrebbero nobilitato lo stemma della famiglia.
Presto grazie ai Barberini  le immagini delle api progettate  dal Bernini avrebbero “invaso” Roma.
Le ritroveremo nel Baldacchino dell' altare maggiore di San Pietro (1624-1633), sia nelle decorazioni in bronzo, fuso saccheggiando il soffitto del Pantheon, che nei basamenti in marmo delle colonne del baldacchino. Da qui il detto romano “Quod non fecerunt Barbari fecerunt Barberini.


E poi in tante fontane : in quella della Barcaccia del 1628, in quella del Tritone del 1643, nella fontana delle api di via Veneto (1644), e anche, in bronzo e in marmo, sparse nel monumento sepolcrale di Urbano VIII in Vaticano.


Infine ritroveremo le api regine anche a Sant'Ivo alla Sapienza, costruita tra il 1642 e il 1660 dal Borromini, eterno avversario del Bernini: Si immaginano nella stessa pianta della chiesa, disegnata su due triangoli in parte sovrapposti, negli stucchi con api regine sopra le finestre, nel pungiglione seghettato che sostiene la lanterna e negli esagoni delle decorazioni all'interno del cortile che ricordano la struttura delle cellette delle api.

In quegli anni, le immagini delle api, a Roma appariranno a decine, e non solo negli stemmi dei Barberini. Anche nella Galleria delle Carte Geografiche, in Vaticano, ultimata nel 1583 dal domenicano Ignazio Danti, in seguito verranno aggiunte api d'oro, sia nelle carte che negli stemmi e nei cartigli dedicatori. Una grande ape regina appare al centro del Tirreno dell'Italia antiqua, davanti a due caravelle, come ad indicargli la strada. Ed altre api verranno aggiunte sulle sponde del Ligustico Mare, anche se l'appellativo di ape ligustica apparirà solo nell'800.

Ignazio Danti 4) , nato a Perugia nel 1536 da nobile famiglia di pittori, fu un matematico, geografo e studioso prolifico ed eclettico. Lavorò dapprima alla corte di Cosimo de Medici, dove oltre alla costruzione di strumenti scientifici dipinse le Carte geografiche custodite nel Guardaroba di Palazzo Medici. Sono queste carte che rappresentano tutto il cosmo (per assonanza con Cosimo), anche le Americhe da poco scoperte, ed erano accompagnate dal più grande mappamondo mai costruito sino ad allora, Quindi, in seguito a dissidi con la corte fiorentina si trasferì a Bologna ad insegnare matematica, e poi fu chiamato a Roma dal Papa. Qui costruì, tra l'altro, la meridiana della Torre dei venti, contribuì alla riforma del calendario gregoriano (che fu varato nel 1582 con il recupero di dieci giorni sul vecchio calendario) e assunse la direzione della Galleria delle carte geografiche con il fratello Antonio. Insieme dipinsero le quaranta carte delle regioni italiane e le mappe dei principali porti e città. I Danti curarono in particolare le carte del nord del Lazio, e si narra che la loro precisione fosse dovuta anche al fatto che sperimentarono i primi voli planati dalle alture del lago di Bracciano. Proprio dove oggi si allenano i deltaplanisti. Morì ad Alatri nel 1586 dov'era divenuto vescovo







Carta dell'Italia Antiqua con numerose api                          Targa di destra dell'Italia Nova con 4 api


Ma torniamo alle api del mosaico di Santa Maria in Cappella

A ben osservare le cinque api si rivelano api regine. Grazie alla precisione del lavoro del micromosaico si può osservare, intanto, che le ali sono più corte dell'addome, quando nelle api operaie le ali arrivano a coprirlo fino alla fine. Inoltre l'addome termina a punta e non è rotondo come quello delle operaie. E infine (vedi il sito wiki how) “mentre le zampe delle operaie e dei fuchi restano sotto il corpo, la regina mantiene le zampette distese e quindi queste sono molto più visibili” che nel corpo delle operaie..
In effetti le zampette visibili sono solo quattro e fuoriescono in avanti, ma questo perchè le ali allargate, impediscono la visibilità delle zampette laterali. In compenso i segmenti dell'addome sono sette, proprio come nelle nostre api. Le api infatti hanno visibili gli altri tre segmenti, per un totale di dieci,  solo in posizione ventrale.
Come mai tanta precisione? Ebbene proprio nel 1625, l'anno della realizzazione del mosaico, gli studiosi dell'Accademia dei Lincei, guidati da Federico Cesi, fondatore dell'Orto botanico di Roma, Stelluti e Faber, presentavano al Papa la Melissografia, un'incisione col trigono delle api, opera dell'incisore Matteo Gruber. Queste erano state osservate nei minimi particolari grazie all'uso del microscopio. Era la prima volta al mondo che si facevano osservazioni scientifiche con “l'occhiolino”, così lo aveva chiamato Galilei, che lo scienziato pisano aveva sviluppato. Ed era stato proprio Giovanni Faber, accademico e amico di Galileo a proporre a Stelluti e ai Lincei che la nuova invenzione fosse battezzata “microscopio”. Pochi anni prima Galilei aveva iniziato le osservazioni sugli insetti dicendo “ ...la  pulce è orribilissima, la zanzara e la tignola sono bellissimi”. Ma fu ovviamente con l'ape che i Lincei iniziarono il loro lavoro. Rappresentare il trigono d'api dei Barberini oltre che un omaggio al Pontefice che le aveva nel proprio stemma di famiglia, permise loro anche di disegnarle dal dorso, di lato e dal ventre, una ottima soluzione che verrà ripresa anche con altri soggetti animali. Certo, l'ingrandimento era poca cosa, cinque a uno, ma non s'era mai visto nulla di simile prima di allora.

Quest'opera, di difficile lettura, a causa di un latino seicentesco, è stata da poco interamente pubblicata in rete, con la traduzione in italiano, dall'Accademia dei Lincei sotto la voce “Apiarium e Melissographia”. Il testo, pubblicato nel Natale del 1625 con il “superiorum permissu” (in un'epoca in cui Papa Barberini farà processare Galilei per le teorie che aveva elaborate proprio grazie al telescopio che aveva portato in dono al pontefice) contiene una grande quantità di dati.
Alcuni, come quelli in cui si parla delle api recentemente scoperte nel Nuovo Mondo, di sicuro valore scientifico.  Altri, come quando si parla di “celle dei re, dei cittadini, della plebe e degli schiavi, che sono state erette tenendo conto della dignità, dei meriti e dello stesso lavoro”, sono concetti che tendono solo a riprodurre la vulgata aristotelica. Ma questa, almeno, non si perdeva in divagazioni pseudoscientifiche e non cercava di cristallizzare una società divisa in caste nell'interesse dei nobili lincei e del Papa Re. Comunque se nelle sezioni 28 e 29 ci sono chiaramente dati derivanti dall'osservazione al microscopio delle parti del corpo dell'ape, nella sezione 33 si ribadisce che “manca all'ape un organo riproduttivo.
Cinque anni dopo lo Stelluti, nel pubblicare la traduzione italiana delle satire di Persio tradotto in verso sciolto e dichiarato, opera in onore di un altro Barberini, il “Cardinal nepote Francesco”, curerà la produzione di una nuova tavola che sarà incisa dal Greuter, con le tre api. Intitolata semplicemente “Descrizione” manca totalmente di decorazioni, cartigli e dedica, pur mantenendo le tre api nelle diverse posizioni, e contiene nuovi e meglio visibili particolari, frutto chiaramente della dissezione oltre che dell'osservazione al microscopio.
In basso una “legenda” o didascalia in dodici punti.contiene informazioni interessanti.
Intanto, è rappresentata un'antenna chiamata “corno” Poi dei peli piumosi chiamati “penne”. Infine, pur essendo quella riprodotta un'ape con pungiglione, si parla di “Ape supino” al maschile.
Da sempre si conoscevano benissimo i fuchi, maschi, ma non era pensabile che l'ape con pungiglione fosse declinata al femminile. Così come la regina restava il re, seguendo le indicazioni di Aristotele che, nell'Historia Animalium, nel 350 a.C., parlava di re e di celle reali. In un altro punto le api vengono definite “femmine in quanto al compito, non per il coito o per il sesso”.





La Melissographia di Cesi (1625)


La Melissographa doveva affiancarsi all'Apiarium,un foglio di oltre un metro di lato, che doveva far parte del Theatrum Toties Naturae, progettato dal principe Federico Cesi e dagli altri lincei. E' questa, secondo Giuseppe Gabrieli, 5)“la prima monografia entomologica che sia stata composta dopo l'invenzione o modificazione galileiana del microscopio”.





INTERNO ATTUALE DELLO XENODOCHIO




FONTANA CON LE API BARBERINI









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