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ENVIRONMENT AND OLD LANDSCAPE

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venerdì 26 giugno 2015

SEGNALAZIONE BOSCHI SACRI - DAL CORRIERE DELLA SERA - MANUELA CAMPANELLI





ESTRATTO DAL CORRIERE DELLA SERA SCIENZE

Identificati i lecci sacri ai romani
nel bosco di Monteluco
Sono esemplari con ceppaie di oltre duemila anni e 3 metri di diametro. Nella zona tracce di culto antichissime
MILANO - I vecchissimi lecci posti nella zona centrale del bosco di Monteluco nei pressi di Spoleto potrebbero essere gli stessi esemplari che componevano il bosco dedicato a Giove e sacro per gli antichi romani. Ma come è stato possibile testare questa ipotesi? «Innanzitutto basandosi sulle dimensioni eccezionali delle ceppaie che hanno un diametro maggiore di 3 m e dei cosiddettipolloni, cioè i cacci di piante tagliate tanti anni fa, che sembrano singoli alberi da quanto sono grandi», risponde Bartolomeo Schirone, ordinario di selvicoltura e assestamento forestale.
DATAZIONE - La disposizione geometrica ha dato inoltre il suo contributo nel riposizionare storicamente quest’area. Alcuni fusti oggi isolati facevano infatti parte di uno stesso cerchio di alberi: lo dimostra il loro patrimonio genetico identico. Da qui a pensare che appartenessero a millenarie ceppaie ormai disgregate il passo è breve. Quanti anni hanno? Le indagini dendrocronologiche che studiano gli anelli dei tronchi, la loro ampiezza e variazione, sostengono che risalgono a circa 500 anni. Segno che le ceppaie hanno un’età quattro volte superiore, intorno ai duemila anni. «La datazione con il C14 (carbonio-14), già usata per i fossili, costituirebbe la prova decisiva», dice Bartolomeo Schirone. «A tutt’oggi non è stato però possibile eseguirla per ragioni economiche». Si spera dunque nella sensibilità delle istituzioni che possano sovvenzionare questo ramo della scienza.
SCRIGNI DI BIODIVERSITÀ - Sui boschi sacri gli esperti hanno puntato ultimamente la loro attenzione perché sono serbatoi di biodiversità e perché attraverso le specie che vi si trovano si può ricostruire la storia passata della nostra vegetazione. In quello di Monteluco, a fianco dei lecci sempreverdi e delle specie arboree dominanti si trovano aceri, carpini bianchi, noccioli, meli e ciliegi selvatici, maggiociondoli, corbezzoli e arbusti come per esempio il ginepro, la ginestra, il rovo, il biancospino, il corniolo e il viburno, in armonico equilibrio tra loro, quasi a testimoniare quel silenzio e quella pace che da secoli li ha mantenuti intatti.
CENSIMENTO - Un censimento di quanti boschi sacri esistono nel nostro Paese non è stato ancora eseguito. Su base toponomastica si potrebbe tuttavia ricostruire una mappa e stabilire la loro distribuzione. Il lucus, in latino letteralmente «radura nel bosco dove passa la luce del sole», era infatti il bosco sacro per i romani. Con tale termine si ricordano il Lucus Angitiae, oggi Luco dei Marsi, consacrato alla dea Angizia dal popolo italico dei Marsi; il Lucus Maricae; il Lucus Vestaepresente a Roma dietro alle case delle vergini vestali alle falde del Palatino andato in fiamme con il grande incendio del 64 d. C. Le etimologie lucuslucerilucinianoluconiano hanno pertanto a che fare con il concetto di bosco sacro. Nel Lazio se ne contano ancora oggi alcuni intorno a Nemi, a Viterbo, e in Abruzzo sulla Maiella. «Qui si possono trovare genotipi particolari che si sono evoluti sul posto e piante vetuste con età maggiore di quelle ritrovate in letteratura», precisa Bartolomeo Schirone. «Se sui libri il faggio può raggiungere al massimo 250 anni e il pino nero 200, in questi boschi toccano quota 600-700 anni».

Monteluco ha stimolato in particolare la curiosità degli studiosi perché nelle sue vicinanze è stata trovata anche la lapide su cui è stata scritta la Lex Luci Spoletina, il primo esempio di norma forestale, scritta in latino arcaico e risalente al III secolo a. C., da cui ha preso spunto l’odierna legislazione sulle aree protette. «Sebbene antichissima, conteneva tutti i concetti che servivano per rispettare la natura», dice Bianca Maria Landi, dottore in progetti ambientali e forestali a Firenze. «In essa veniva detto cosa era vietato fare, la pena prevista in caso di inosservanza e chi era preposto al controllo e alla riscossione della multa stabilita». Testualmente si legge: «In questo bosco sacro nessuno osi portar via alcunché». Tutto era intoccabile: gli alberi si potevano tagliare una volta all’anno in occasione di una sorta di sacrificio alla divinità. Chi non rispettava questo divieto doveva pagare 300 assi al dicator, il magistrato che secondo alcuni aveva una funzione esclusivamente religiosa mentre per altri era colui che doveva mettere in pratica la norma facente parte del diritto pubblico a tutti gli effetti. Coeva a quest’ultima era la Lex Luci Lucerina, che a un certo punto afferma: se il divieto viene violato, «chiunque ne abbia voglia» può richiedere un rimborso al trasgressore. «Sancisce il diritto della collettività che è un concetto incredibilmente attuale», dice Bianca Maria Landi. «Da poco tempo si parla infatti di diritti diffusi, di risarcimento ambientale e di ruolo della collettività come promotrice di azione e di risoluzione del danno». È del 1986 la legge istitutrice del ministero dell’Ambiente, nel cui articolo 18 si sottolinea come le associazioni ambientalistiche possano denunciare un danno ambientale.

Manuela Campanelli



lunedì 22 giugno 2015

VITE MARITATA AGRO DI CASERTA E DI AVERSA









DAL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO DELLA PROVINCIA DI CASERTA (2012) APPRENDIAMO  CHE LE SUPERFICI ANTICAMENTE DEDICATE ALLA COLTIVAZIONE DELLA VITE MARITATA AL PIOPPO SONO DI 418 ETTARI E I SITI INTERESSATI SONO 823, UNA LOCALIZZAZIONE SU CARTA DEI RESIDUI STORICI DELL'ANTICA COLTIVAZIONE










mercoledì 10 giugno 2015

LA QUERCIA: BETI PIOTTO - ISPRA - Svalbard Global Seed Vault






RICEVIAMO E VOLENTIERI RIPUBBLICHIAMO
dal
 blog di NoixLucoli
di emanuela mariani



LA QUERCIA
DI BETI PIOTTO



Quando si dice “forte come una quercia” si dice una mezza verità. Ma una mezza verità è anche una mezza bugia. Le querce, ovvero le numerose specie che appartengono al genere Quercus, compaiono spesso negli stemmi per indicare forza: dall’emblema della Repubblica Italiana a quello di molte famiglie (della Rovere, Farnese, ecc.). E la potenza di queste piante è vera tenuto conto della maestosità degli alberi e della robustezza del legno. Quello che non si dice è che le querce hanno un debolissimo tallone d’Achille rappresentato dalla loro propagazione.
Intanto, come tante altre specie arboree, la fruttificazione delle querce è irregolare. Ci sono ”pascione” e cioè anni di elevata produzione di ghiande (per comodità le chiamiamo semi ma botanicamente sono frutti) che si alternano ad anni di fruttificazione scarsa, l’entità dell’intervallo varia con la specie e con le condizioni ambientali. Quando la fruttificazione è scarsa risulta anche bassa la qualità del seme, di conseguenza non è consigliato l’impiego per eventuali rimboschimenti. Dal punto di vista eco-fisiologico, successivi anni di “magra” aiuterebbero a contenere le popolazioni di nemici naturali che diminuirebbero progressivamente la loro presenza. Nell’anno di pasciona, invece, grazie alla massiccia presenza di ghiande la specie vegetale sarebbe in grado di espandere il proprio areale di distribuzione.
Altra limitazione nella propagazione delle querce è rappresentato dalla disseminazione. Le ghiande sono semi relativamente pesanti e rimangono naturalmente vicine alla pianta madre dove la competizione risulta elevata. Vi è quindi bisogno di vettori (uccelli e/o piccoli mammiferi) per trasportare i semi altrove ed espandere così la presenza della specie. Se in territori poco antropizzati questo non è un problema, la disseminazione diventa difficile in aree frammentate, cementificate, intensamente abitate come le zone costiere.

Più del 90% delle 7.000 specie di cui è stata studiata l’attitudine alla conservazione del seme ha sviluppato un meccanismo di auto-conservazione che, in modo estremamente semplificato, può descriversi così: raggiunta la maturità, i semi “spengono” tutti i processi fisiologici e si auto-essiccano (in genere fino ad un contenuto di umidità intorno al 10%). In questo stato possono meglio resistere all’inverno, al tempo, ad avversità di diverso tipo (noti sono i chicchi di cereali ancora vitali nelle tombe egizie) e quindi l’uomo ha sfruttato questa caratteristica naturale per conservare a lungo i semi destinati all’alimentazione. La possibilità di conservare a lungo i semi rappresenta un’arma potente per la difesa delle risorse genetiche, un’assicurazione per il futuro. In questo senso è stata recentemente inaugurata nelle Isole Svalbard una gigantesca Banca dei Semi (Svalbard Global Seed Vault, v. foto) che ha la missione di conservare il patrimonio genetico vegetale, principalmente quello agro-alimentare, di tutti i paesi del mondo. Viene perciò naturale chiamare “Banca” un luogo che custodisce tesori genetici per oggi e per il futuro.
In tempi di forti cambiamenti climatici preoccupante è, invece, l’esistenza effimera delle ghiande che vivono soltanto pochi mesi (dall’autunno alla primavera) e sono di difficile (e costosa) conservazione da parte dell’uomo. A differenza dei semi sopradescritti (botanicamente detti “ortodossi”), nella loro evoluzione i frutti delle querce non hanno sviluppato i processi di disattivazione fisiologica ed auto-essicazione, anzi, la disidratazione è letale. Non vi è in questi semi una “pausa” dei processi vitali per cui le ghiande sono portate a germinare subito se vi sono la condizioni. Nei nostri climi è il freddo a rallentare la germinazione fino alla primavera ma se l’autunno non è stato particolarmente severo le ghiande emettono la radice (che assorbe acqua e le mantiene in vita) e aspettano la primavera per completare la germinazione con l’emergenza della parte aerea (vedi grafico). L’assorbimento di acqua porta all’aumento di volume e quindi alla spaccatura delle vestiture esterne; i cotiledoni rimasti così parzialmente scoperti spesso acquisiscono una colorazione rossastra in inverno. Le ghiande che per motivi diversi in primavera non sono riuscite a germinare, muoiono.
La conservazione artificiale delle ghiande, che non va mai oltre i 3-4 anni, è stata intensamente studiata in Polonia ed in Francia in risposta ai crescenti periodi di scarsa fruttificazione che rallentavano i lavori di rimboschimento. La conservazione artificiale delle ghiande è comunque costosa perché abbisogna di grandi spazi e di termo-trattamenti per il controllo di funghi. La crioconservazione in azoto liquido di embrioni diventerà, probabilmente, una via percorribile per molte specie con semi di difficile conservazione come le ghiande; al momento è applicata in via sperimentale per materiale particolarmente prezioso (le collezioni rinascimentali di agrumi di Cosimo dei Medici vengono conservate anche in questo modo).
Le specie quercine sono importanti in Italia in quanto componenti fondamentali delle nostre foreste. Le descritte peculiarità delle ghiande scoprono però lati di vulnerabilità che possono essere ragionevolmente arginati se si lavora per non disturbare gli habitat naturali di queste specie favorendo inoltre la continuità del verde per consentire gli scambi genici tra popolazioni. A questo proposito è bene ricordare ancora che per i semi delle querce non vi sono attualmente vie relativamente poco costose di protezione delle risorse genetiche come la lunga conservazione dei semi in Banche dei Semi, largamente praticate, invece, per altre specie vegetali con semi che tollerano la disidratazione spinta.

Beti Piotto
ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale


LA BANCA DEL GERMOPLASMA 
ISOLE SVAALBARD

Svalbard Global Seed Vault