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ENVIRONMENT AND OLD LANDSCAPE

BENVENUTI NEL BLOG DI TERREALTE.ORG DEDICATO AL PAESAGGIO - QUI TROVERETE UNA RACCOLTA DI FOTO SUL PAESAGGIO ITALIANO ANTICO (ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO E BOTANICA) IN PARTICOLARE SULLE VITI MARITATE (OLD LANDSCAPE )

ALCUNE FOTO SONO DI AUTORI SCONOSCIUTI

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martedì 14 ottobre 2014

NOVITA' VITE MARITATA : Jakob Philipp Hackert - MARRIED VINE

GRAZIE AL  DOTT. Massimo GARDIMAN
del
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura
Centro di ricerca per la Viticoltura

E ALLA DOTT.SSA BETI PIOTTO DELL'ISPRA, PREZIOSA COLLABORATRICE DEL LABORATORIO,
VI PROPONGO ALCUNE IMMAGINI DI VITE MARITATA



Jakob Philipp Hackert
1737-1807


Jakob Philipp Hackert
1737-1807

SUL PITTORE HACKERT E I SUOI PAESAGGI DOVREMO TORNARE
E' DA NOTARE COMUNQUE CHE I PAESAGGI DI HACKERT NON SONO SIMBOLICI O ASTRATTI MA RAPPRESENTANO, COME NOTO, PRECISE LOCALITA' E SISTEMAZIONI AGRARIE E PAESAGGISTICHE: LE VITI MARITATE IN CAMPANIA, LAZIO E UN PO' IN TUTTA ITALIA ERANO LA NORMALITA'




FOTO PROVENIENTE DA : dr. GARDIMAN : 
LOCALITA' PERGOLA (MARCHE) PU
ESTATE

LA STESSA IN 
INVERNO


TESTO SULLA VITE MARITATA
AUTORE SCONOSCIUTO

A Soufflot, architetto del Panthéon parigino che accompagna nel 1750 insieme a Cochin e all’Abbé Le Blanc il giovane de la Vandière, fratello di Madame Pompadour e futuro Marquis de Marigny, nel viaggio di formazione in Italia[1], la vite appare così: «governata a tralcio lungo è tradizionalmente maritata al pioppo, in festoni tesi tra una pianta e l’altra. I festoni, in cui i tralci sono sistemati a rete – ‘a rezz’ ‘e pecore’, possono raggiungere gli otto/dieci metri di altezza; nel rigoglio estivo costituiscono un vero e proprio sistema di quinte verdi dal comportamento tessile, al di sopra delle quali sono rade le cacciate dei pioppi, potati senza scrupolo nei mesi invernali per rifornire di combustibile la grande città[2]
Il paesaggio che appare al viaggiatore del Settecento è molto simile a ciò che descrive Plinio nella sua Storia Naturale, quando racconta che «nell’agro campano le viti si maritano al pioppo; avvinghiate alle piante coniugi e salendo su di esse di ramo in ramo… ne raggiungono la sommità ad un’altezza tale, che il contratto di chi viene ingaggiato per la vendemmia prevede (in caso di caduta mortale) il risarcimento delle spese per il funerale e la sepoltura[3]
La vigoria della vite, che è una pianta rampicante, fa suggerire a Plinio l’ancoraggio al pioppo anziché all’olmo o all’acero, consuetudine questa maggiormente diffusa nel nord Italia e di cui parla Virgilio nelle Georgiche, il cui scopo, tra gli altri, è quello di insegnare agli agricoltori «sotto quale stella occorre rivoltare il suolo e legare agli olmi le viti[4].» Se per Plinio la vite si àncora meglio al pioppo, soprattutto ai fini della potatura e della vendemmia, la vera affinità elettiva, per il poeta Ovidio[5], è quella tra l’olmo e la vite: «Nell’ultima ode del primo libro Orazio rappresenta se stesso, incoronato di mirto, mentre beve sotto una vite, con uno schiavetto che gli mesce il vino:‘Persicos odi, puer, apparatus, displicent nexae philyra coronae, mitte sectari rosa quo locorum sera moretur. Simplici myrto nihil adlabores sedulus curo: neque te ministrum dedecet myrtus neque me sub arta vite bibentem.’ È noto che alle popolazioni italiche la vite era gradita per l’ombra che offriva non meno che per i suoi frutti, sicché in latino comunemente il sostantivo vitis sta a significare pergula vitis umbriferae. Ne è la prova l’ode di Orazio sopra citata, nella quale il poeta presenta la vite come arta. Questo aggettivo è stato diversamente interpretato dagli antichi commentatori: infatti Acrone gli attribuì il significato di humilis, mentre Porfirione parafrasava ‘artam vitem spissam ac per hoc umbrosam’. Non diversamente i moderni commentatori intendono gli uni arta come parva o angusta, gli altri come spissa ovvero densa. Essi tutti non tengono conto del fatto prima ricordato, ossia che comunemente in latino il sostantivo vitis non indica soltanto la pianta in sé e per sé, ma anche l’ombra proiettata dalla vite maritata a un albero oppure sorretta da una pergola. Per questo motivo l’interpretazione vulgata dell’aggettivo arta nel senso di humilis o parva o angusta non è sostenibile, dato che nell’ode si tratta evidentemente di un pergolato di vite, o, per meglio dire, della sua ombra. La vite non si può correttamente definire ‘bassa’, ‘piccola’ o ‘stretta’, poiché il poeta non si riferisce alle dimensioni della pianta, a alla qualità della sua ombra. Né d’altra parte sembra verosimile che la vite sia spissa o densa (‘folta’) in quella stagione dell’anno nella quale, come dice Orazio, rosa sera moretur, dunque sul finire dell’estate o all’inizio dell’autunno, quando le fronde della vite sono rade per essere state potate dal vignaiolo, come insegna Virgilio, ovvero perché cominciano a cadere a causa della stagione. Ritengo perciò che l’arta vitis sia l’ombra del pergolato diradata, ossia artata, ‘ridotta’, ‘ristretta’ defecto palmite, come dice Petronio in un frammento poetico, verosimilmente estratto dal Satyricon nel quale sono descritte diffusamente le umbrae, ossia le chiome della vite o del platano in autunno, sfrondate: ‘Iam nunc †argentes† autumnus fregerat umbras atque hiemem tepidis spectabat Phoebus habenis, iam platanus iactare comas, iam coeperat uvas adnumerare suas defecto palmite vitis: ante oculos stabat quidquid promiserat annus.’ L’immagine descritta da Petronio ingenti volubilitate verborum, per usare le sue parole, viene espressa da Orazio, con mirabile concisione ed eleganza, per mezzo di un unico aggettivo: il poeta descrive l’aspetto della vite poco prima o poco dopo il tempo della vendemmia, quando i tralci, sebbene diradati, sono in grado di offrirgli ancora abbastanza ombra mentre beve[6].» Così, a seconda delle zone, sia dell’agro campano che del resto del centro-sud Italia ritroviamo una viticoltura simile sia alla piantata del centro nord che all’alberata toscana centrale: «Le più celebri sono quelle aversane (dalla cittadina di Aversa, nel Casertano), che, in questo comprensorio, vengono impropriamente definite alberate. Sono prevalentemente costituite dal vitigno Asprinio, discendente dalla Vitis viniferasubsp. sylvestris, domesticata dagli Etruschi, sostenute da filari di pioppo. L’altezza media si aggira intorno ai 10 – 15 m; raramente lungo il filare, al posto di alberi vivi si utilizzano pali di castagno. Questo tipo di coltivazione è attualmente diffuso nell’area corrispondente alle tre province di Napoli, Benevento e Caserta. In queste zone, durante la formazione delle alte spalliere e durante i lavori di potatura secca, i tralci delle viti vengono sistemati in senso verticale in modo da formare un ventaglio aperto. Nelle piantate del nord Italia, invece, i tralci vengono posizionati in cordoni paralleli in senso orizzontale lungo i tiranti presenti ad altezze diverse del filare.(…) Questo paesaggio aversano ha sempre colpito i viaggiatori del Gran Tour del Settecento. Scrive W. Goethe nel suo Viaggio in Italia: Finalmente raggiungemmo la pianura di Capua…. Nel pomeriggio ci si aprì innanzi una bella campagna tutta in piano…. I pioppi sono piantati in fila nei campi, e sui rami bene sviluppati si arrampicano le viti…. Le viti sono d’un vigore e d’un’altezza straordinaria, i pampini ondeggiano come una rete fra pioppo e pioppo. Aubert de Linsolos scrive invece nei suoi Souvenirs d’Italie: … i rami della vite intrecciati ai grandi alberi all’orlo della carreggiata, danno l’idea di tanti archi trionfali di verzura, preparati per il passaggio di un potente monarca. (…) Molto particolare è la situazione dell’isola d’Ischia. Nelle zone pianeggianti del versante meridionale fino a una decina di anni fa esistevano bellissime viti maritate a pioppi secolari, oggi purtroppo quasi del tutto scomparse[7].» Sono presenti ancora oggi rari esempi di questo tipo di coltivazione nel comune di Barano (in località Chianole del Testaccio), ove le viti vengono ancora coltivate alte con spalliere e contro-spalliere e vengono sostenute da tutori morti costituiti da pali di castagno o da canne. Le zone meridionali della Campania subiscono l’influsso greco, mentre nelle zone settentrionali è evidente l’influsso etrusco: «in alcune zone del Cilento la coltivazione della vite maritata viene ancora oggi praticata ai margini dei campi, lungo i confini o in prossimità di fossati e canali di scolo delle acque, utilizzando come sostegni vivi per le viti specie arboree sia spontanee sia coltivate e quasi mai disposte con sesto di impianto. In queste aree sono molto utilizzati come tutori olmi, peri e meli selvatici, particolarmente diffusi nei campi; ma si utilizzano anche alberi da frutta appartenenti ad antiche varietà locali. Le viti, generalmente una o due per ogni albero, vengono posizionate a circa 35-40 cm di distanza dall’albero tutore e vengono fatte arrampicare lungo il tronco in modo che i tralci vengano sostenuti dalla chioma dell’albero; frequentemente i tralci più lunghi superano la superficie della chioma e ricadono verso il basso formando una specie di grosso ombrello naturale con i grappoli d’uva sospesi. La potatura di queste viti non avviene in modo regolare, cioè ogni anno, ma solo occasionalmente. Nelle zone montane del Cilento è presente anche una variante di questo tipico antichissimo sistema di coltivazione, la piantata a pergolato. Per un corretto impianto di questa consociazione vite-albero si fa crescere la vite maritata all’albero fino all’altezza delle prime branche; qui viene allestito un pergolato con pali di legno e filo di ferro e si sistemano i tralci in modo da ottenere il pergolato al lato del filare di alberi. In questo caso gli alberi tutori sono quasi sempre piante da frutto e hanno la chioma libera. In tale tipo di coltivazione la potatura delle viti viene effettuata ogni anno. La varietà di vite più diffusa in queste coltivazioni è l’Aglianico utilizzato prettamente per la vinificazione. Tale vitigno, molto probabilmente di origine greca, solo in questi casi viene coltivato con tecniche di origine etrusca. Il vitigno presenta grappoli con bacche nere, dà origine a vini di buona qualità, molto conosciuti e apprezzati fin dal XVI secolo. Secondo alcuni autori il nome Aglianico deriverebbe da Gaurano, antico e famoso ovino romano; secondo altri deriverebbe dalle viti introdotte dagli Antichi Greci: coltivato dai Romani, fu chiamato Ellenico o Ellanico in alcune zone del Cilento e della Lucania[8]

[1]     Frutto della visita a Pestum è la Suitte Des Plans, Coupes, Profils, Elévations géometrales et perspectives de trois Temples antiques, tels qu’ils existoient en mil sept cent cinquante, dans la Bourgade de Pesto… Ils ont été mésurés et dessinés par J. G. Soufflot, Architecte du Roy. &c. en 1750. Et mis au jour par les soins de G. M. Dumont, en 1764, Chez Dumont, Paris, 1764.
[2]     Ilaria Agostini, Il territorio come un presepio: il paesaggio agrario nei Voyages de Naples tra Sette e Ottocento, in http://www.unifi.it/ri-vista/04ri/04r_agostini.html
[3]     Plinio, Naturalis historia, XIV, 10..
[4]     Virgilio, Georgiche, cit. versi 2 e 220 citato in Franco Cercone, Storia della vite e del vino in Abruzzo, Casa editrice Rocco Carabba, Lanciano 2008, pag. 33
[5]     Publio Ovidio Nasone, più semplicemente Ovidio (Sulmona, 20 marzo 43 a.C. – Tomi, Mar Nero, 17 – 18 d. C.), Amores, Libro II, 41. Il testo è suddiviso  in tre libri: 49 carmi che narrano la storia d’amore per una donna chiamata Corinna (personaggio letterario), secondo lo stile e le convenzioni dell’elegia amorosa: il poeta è asservito alla domina, soffre per le sue infedeltà, è geloso degli altri ammiratori e contrappone la vita militare alla vita amorosa.
[6]     Grazia Sommariva, Sub arta vite (Nota esegetica a Horat. Carm. I 38, 7-8), in http://dspace.unitus.it/bitstream/2067/675/1/Sub%20arta%20vite-traduz.pdf
[7]     Raffaele Buono, Gioacchino Vallariello, La vite maritata in Campania, in ‘Delpinoa’, n.s. 44: 53-63, 2002 Pubblicazione a cura dell’Orto Botanico di Napoli
[8]  Ibidem



lunedì 1 settembre 2014

VITI MARITATE A OLMO - HANS M. HEYBROEK - CHRISTINE BUISMAN - VITI MARITATE ANNI '30 DEL '900



FOTO E IMMAGINI INTERESSANTI
DI OLMI STUDIATI DA CHRISTINE BUISMAN
(SCIENZIATA OLANDESE NOTA PER LE RICERCHE PIONIERISTICHE SUGLI OLMI)
IN SOSTANZA VENNE NEGLI ANNI '30 DEL 900 PER STUDIARE UNA MALATTIA DELL'OLMO E HA LASCIATO UN PATRIMONIO VISIVO DI FOTO DI VITI MARITATE IN ITALIA IN QUEGLI ANNI




FOTO: CHRISTINE BUISMAN 1935


FONTE: DA HANS M. HEYBROEK "THE ELM,TREE OF MILK AND WINE


VIGNA FRA FIRENZE E VALLOMBROSA
VENDEMMIA IN TOSCANA 1849
(illustrated london news, oct. 1849)

FONTE: DA HANS M. HEYBROEK "THE ELM,TREE OF MILK AND WINE

DEVO LA SEGNALAZIONE DI QUESTA STUDIOSA E LE FOTO AD HANS M. HEYBROEK STUDIOSO NORVEGESE CHE GENTILMENTE ME LE HA SEGNALATE




HACHERT
VENDEMMIA NAPOLETANA
DEL 700

MUSEO S.MARTINO NAPOLI


LA QUALITA' DELL'IMMAGINE E' SCARSA MA LA VENDEMMIA AVVIENE IN UN VIGNETO DI VITI MARITATE


VIKIPEDIA SU HANS HEYBROEK



martedì 17 settembre 2013

VITI MARITATE FOTO VARIE


VITE MARITATA DA SITO FIGLINE VAL D'ARNO




AZIENDA AGRICOLA CASTEL SAN PIETRO (SABINA)
PRODUCE UN VINO CON VITE MARITATA


UN TESTO INTERESSANTE

DAL BLOG

ECOMUSEO COLLI DEL TEZIO

(UMBRIA)

Il paesaggio della zona dell’Ecomuseo Colli del Tezio e il paesaggio rurale umbro altro non sono che il risultato di una lunga serie di interazioni tra fattori umani e naturali e il frutto di una serie di attività antropiche succedutesi negli ultimi secoli. Negli ultimi decenni il progressivo abbandono delle zone meno produttive da una parte o la specializzazione agricola (con la scomparsa delle forme di conduzione tradizionali come la mezzadria), hanno agito sul paesaggio, in diversa misura e per ciascun ambito spaziale, trasformandolo profondamente e in maniera rapida e irreversibile. 
Già negli anni sessanta Henri Desplanques, parlando delle campagne umbre, notava che “Il crollo del sistema mezzadrile rispecchia e materializza il rinnovamento sociale e culturale della nuova Italia, dove niente è più come prima”, tanto che gli aspetti rivoluzionari di questo mutamento sono stati tali da scuotere e modificare “le persone, le società, i quadri naturali e i rapporti sociali e produttivi”. Se da un lato l’affermarsi della mezzadria aveva sapientemente costruito il paesaggio della coltura promiscua “con i filari e gli alberi da frutto in mezzo ai seminativi”, dove un’agricoltura intensiva e di sussistenza non lasciava spazi all’incolto e stratificava la produzione su livelli sovrapposti, la specializzazione agricola (affermatasi successivamente grazie allo sviluppo della tecnologia e in conseguenza delle nuove regole di mercato), la meccanizzazione e l’agricoltura estensiva, il mutare quindi degli ordinamenti colturali ne hanno determinato la disgregazione: sono così progressivamente scomparse scarpate e ciglioni, sono state abbattute le grandi querce e ovunque si è diffusa la monocoltura cerealicola.
E’ questo il nesso di causa ed effetto tra il paesaggio e i cambiamenti verificatisi all’interno del sistema produttivo agricolo italiano e della struttura sociale del lavoro nelle campagne: abbandono, specializzazione, contoterzismo sono gli elementi caratterizzanti un settore primario fondato sulla logica del profitto e all’interno del quale sembra irrimediabilmente venuta meno la preoccupazione per “la conservazione e miglioramento di un patrimonio lasciato dalle generazioni precedenti”. Con logica opposta ma convergente, il paesaggio agrario subisce anche l’impatto di estesi fenomeni di abbandono dell’attività agricola delle aree marginali (a favore di quelle più fertili e redditizie) e di conseguente rinaturalizzazione da parte del bosco, fenomeni legati al forte spopolamento che ha caratterizzato l’area collinare negli ultimi cinquant’anni, alla debolezza del sistema socio-economico, alle mutate condizioni di operatività e redditività delle aziende agricole.
In Umbria, d’altro canto, la grande varietà di “paesaggi” sembra sopravvivere anche in relazione ai differenziati ambiti subregionali (i bacini quaternari con il loro mosaico di terreni agrari, l’alta collina flyscioide, la montagna calcarea). Il territorio è ancora caratterizzato da una molteplicità di aspetti naturali e umani che si integrano mirabilmente tra loro, disegnando un paesaggio di particolare pregio ambientale, ma anche ricco di storia. Piccoli villaggi e ruderi di castelli, arroccati sui fianchi dei monti, scrutano la vallata sottostante solcata da filari di salici e pioppi cipressini che si sviluppano lungo un torrente. I diversi appezzamenti dei campi coltivati, dei pascoli e seminativi sono talvolta ancora delimitati da stradine di campagna, da siepi naturali e da antichi muretti a secco; al loro interno ogni tanto troviamo ancora le querce “camporili”, cioè alberi isolati, generalmente querce, lasciati storicamente per il riparo dei pastori e degli animali dal calore estivo. Senza dimenticare la rete di case coloniche distribuite nel territorio.
Nel territorio dell’Ecomuseo Colli del Tezio, con visione a grande scala, la compresenza di forme vecchie e nuove sembra appena percettibile; in particolare la collina rappresenta l’ambito spaziale a più alto tasso di conservazione nella irregolare alternanza di lembi di bosco, oliveti e vigneti, terrazzamenti con muri a secco e campi nudi con querce camporili. Ma per quanto tempo ancora?
Si è qui descritta una serie di aspetti fondamentali del paesaggio regionale, quelli che ne delineano la sua identità, sia quelli storico-architettonici che naturalistico-ambientali. Valori “diffusi”, come le querce camporili, le siepi e i filari, esito di specifiche modalità di organizzazione dello spazio rurale e del lavoro umano, sono sempre più minacciate: è in atto una lenta e progressiva scomparsa della rete di muretti a secco presenti in collina e una progressiva rarefazione degli elementi “camporili” che formavano il tessuto diffuso al centro dei poderi, cioè la componente arborea in pianura (querce camporili, viti maritate, alberi di confine), contribuendo alla scomparsa di alcuni degli elementi principali di varietà del paesaggio rurale.
La qualità del paesaggio agrario rappresenta una ricchezza per le nostre aree rurali. Le trasformazioni del paesaggio possono incidere sulla capacità di attrattiva del territorio e sulle sue possibilità di valorizzazione. Per tale motivo è importante essere coscienti di questo patrimonio, conoscerlo per difenderlo e farlo apprezzare da chi verrà dopo di noi.
Antonio Brunori
Dottore Forestale e Docente a contratto di
Selvicoltura e Assestamento Forestale
Università degli Studi di Perugia
In collaborazione con Luana Ilarioni,
dottoranda in Arboricoltura,
Università di Perugia


mercoledì 13 febbraio 2013

VITI MARITATE URBISAGLIA MACERATA MARIO AVOLA S.GINESIO

RICEVIAMO DAL COLLABORATORE MARIO AVOLA  FOTO SULLA SITUAZIONE ATTUALE AD URBISAGLIA DELLE VITI MARITATE DA LUI SEGNALATE CON FOTO DEL 1987


FOTO MARIO AVOLA 2013
S.GINESIO MC CON LA NEVE


FOTO MARIO AVOLA 2013

URBISAGLIA , MC OGGI

FOTO MARIO AVOLA, 2013

URBISAGLIA MC OGGI


FOTO AVOLA 2013
URBISAGLIA, CAMPOSANTO, OGGI

giovedì 7 febbraio 2013

VITE MARITATA MARIO AVOLA ALBERATA URBISAGLIA MACERATA ITALY


RICEVIAMO DA  MARIO AVOLA (S. GINESIO - MC) E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
UNA SPLENDIDA FOTO SCATTATA DA SUO PADRE 
( "lu vara' " ) NEL 1987
AD URBISAGLIA (MC)
LA FOTO E' ORMAI STORICA PERCHE' SEMBRA CHE L'ALBERATA NON ESISTA PIU'

CLICCATE PER INGRANDIRE





AGGIUNGO UN'IMMAGINE A STAMPA INVIATAMI
SEMPRE DA MARIO AVOLA
NON NE CONOSCO PERO' LA PROVENIENZA











lunedì 18 luglio 2011

VITE MARITATA TRE IMPORTANTI FOTO DI LUGLIO 2011 - LA PIANTA SEMBRA UN QUERCUS PUBESCENS LE FOTO SONO DEL PROF. ZACHARY NOVAK DI UMBRIA INSTITUTE

 FOTO NOVAK: PARTICOLARE VITE MARITATA A QUERCIA NON CONOSCIAMO ANCORA IL NOME DEL PODERE
 NOTARE IL SISTEMA DI LEGATURA
TORNEREMO A PARLARE CON L'AGRICOLTORE CHE CURA QUESTO PODERE
APPENA POSSIBILE


venerdì 5 febbraio 2010