di ANNAMARIA SERINELLI
Contro le occupazioni
illegali del suolo, contro lo stato di abbandono, l’inquinamento e il degrado,
i parigini hanno studiato una soluzione semplice: piantare alberi. Saranno
infatti un milione quelli che popoleranno la piana di Pierrelaye-Bessancourt,
per un’estensione di 1350 ettari. 5 volte Central Park a New York, per
intenderci.
Per i prossimi 15 anni a
partire dal 2018, la città sarà impegnata con lavori di rinverdimento che
coinvolgeranno sette comuni e costeranno circa 85milioni di euro. Un progetto
ambizioso, fortemente voluto dai politici francesi che spingono per farlo
diventare realtà. Sono infatti in programma percorsi di trekking, centri
equestri, lotti destinati ai parchi e ponti di osservazione.
Il tutto nel rispetto dei
tempi della natura. Occorrono infatti 30 o 50 anni perché gli alberi giungano
alla maturità. Anche nel rispetto della popolazione delle aree coinvolte, che
proprio in questi giorni è impegnata in incontri per la presentazione del
progetto che arriveranno a conclusione il prossimo 29 marzo. Da questi si
trarrà un primo bilancio della concertazione.
Ma non c’è dubbio che la
sorte di Pierrelaye-Bessancourt debba cambiare: attualmente la zona è
diventata, in modo non ufficiale, la discarica di Parigi, dal cui centro dista
18 miglia. La necessità di una rigenerazione dell’area si combina agli sforzi
che da tempo la capitale francese compie per ridurre l’inquinamento in città e
nelle zone limitrofe. Un’intera foresta sarebbe, inoltre, l’ennesima manifestazione
della grandeur parigina. Questa volta in versione green.
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di Annamaria Serinelli
Qui ogni cosa ha un colore
supremo, non si può immaginare che ci sia altro dopo”. Qui è Maratea, con il
suo imponente scenario naturalistico, che viene così rappresentato da Bianca
Garufi in Fuoco grande, romanzo incompiuto, scritto a quattro mani con Cesare
Pavese. Quei colori sono rimasti intatti, nel vigore e nella mutevolezza con
cui animano la costa, i boschi, le case del centro e le grotte in cui si
inabissa improvvisamente il mar Tirreno. E proprio l’eccezionalità di questo
paesaggio è alla base della candidatura di Maratea affinchè l’Unesco la
inserisca nel “patrimonio mondiale dell’umanità”.
Il percorso di candidatura prende il via nel 2013 da un’idea di Francesco Sisinni, già direttore generale al ministero dei Beni culturali e sindaco di Maratea negli anni ‘90. Nel 2015 la proposta di candidatura approda al Consiglio comunale, che la approva all’unanimità. «Maratea si candida a patrimonio mondiale dell’Unesco per la bellezza e l’unicità del paesaggio nella sua totalità, per come è stato conservato e per la storia che si lega ad esso», spiega a Nuova Ecologia il sindaco, Domenico Cipolla. Una candidatura condivisa con altri territori lucani: le Rabatane, antichi rioni di origine araba presenti a Tricarico, Pietrapertosa e Tursi, e i calanchi di Montalbano Jonico.
Alla redazione dei relativi dossier di candidatura la Regione Basilicata ha destinato uno stanziamento di 50.000 euro, previsto dalla “legge di variazione al bilancio di previsione pluriennale 2017/2019”. Saranno utilizzati per il lavoro già avviato presso il Centro operativo misto delle soprintendenze alle Antichità, Belle arti e Paesaggio, in largo Cappuccini, dove è attiva la sede del gruppo di lavoro “Maratea patrimonio mondiale dell’Unesco”.
“Sempre più libera, sempre più bella” è il motto che si può leggere sulla fontana della Sirena, a piazza Vitolo: antico simbolo della città, che nell’opera dello scultore Alessandro Romano sorregge il nuovo stemma di Maratea. La difesa della libertà è parte della memoria storica del centro lucano: acquistato nel 1530 dal conte Ettore Carafa di Policastro, viene riscattato dai suoi cittadini versando al re il doppio della somma offerta dal nobiluomo. Oltre ai monumenti, la storia di Maratea va ricercata a partire dal suo paesaggio, che per questo si può definire “culturale”. Come quella raccontata dalle rocce a picco sul mare, con affioramenti di carattere dolomitico e ritrovamenti di presenze risalenti al paleolitico. O quella, fra leggenda e verità, dell’antica città di Blanda, da cui nell’VIII secolo d.C. sarebbero giunte altre popolazioni per insediarsi nella vicina Maratea.
Oltre alla candidatura Unesco, nuove possibilità arrivano dall’accordo siglato tra Regione Basilicata e Comuni di Matera e Maratea per la realizzazione dell’eliporto. I lavori sono in fase progettuale e dovrebbero terminare entro il 2019. «L’accordo nasce dall’idea di collegare le due città in occasione di Matera “Capitale europea della cultura 2019”, nell’ambizione di un turismo non di massa», spiega il primo cittadino di Maratea. Un’ulteriore conferma dell’aspirazione della città ad avere un riconoscimento più ampio del proprio valore culturale in ambito turistico e internazionale. Conservando, tuttavia, intatto il suo unicum di territorio dalla vegetazione lussureggiante, con le frazioni disseminate lungo la costa e i centri arroccati dove la storia si perde e si ritrova, nei vicoli strettissimi come in mare aperto.
Il percorso di candidatura prende il via nel 2013 da un’idea di Francesco Sisinni, già direttore generale al ministero dei Beni culturali e sindaco di Maratea negli anni ‘90. Nel 2015 la proposta di candidatura approda al Consiglio comunale, che la approva all’unanimità. «Maratea si candida a patrimonio mondiale dell’Unesco per la bellezza e l’unicità del paesaggio nella sua totalità, per come è stato conservato e per la storia che si lega ad esso», spiega a Nuova Ecologia il sindaco, Domenico Cipolla. Una candidatura condivisa con altri territori lucani: le Rabatane, antichi rioni di origine araba presenti a Tricarico, Pietrapertosa e Tursi, e i calanchi di Montalbano Jonico.
Alla redazione dei relativi dossier di candidatura la Regione Basilicata ha destinato uno stanziamento di 50.000 euro, previsto dalla “legge di variazione al bilancio di previsione pluriennale 2017/2019”. Saranno utilizzati per il lavoro già avviato presso il Centro operativo misto delle soprintendenze alle Antichità, Belle arti e Paesaggio, in largo Cappuccini, dove è attiva la sede del gruppo di lavoro “Maratea patrimonio mondiale dell’Unesco”.
“Sempre più libera, sempre più bella” è il motto che si può leggere sulla fontana della Sirena, a piazza Vitolo: antico simbolo della città, che nell’opera dello scultore Alessandro Romano sorregge il nuovo stemma di Maratea. La difesa della libertà è parte della memoria storica del centro lucano: acquistato nel 1530 dal conte Ettore Carafa di Policastro, viene riscattato dai suoi cittadini versando al re il doppio della somma offerta dal nobiluomo. Oltre ai monumenti, la storia di Maratea va ricercata a partire dal suo paesaggio, che per questo si può definire “culturale”. Come quella raccontata dalle rocce a picco sul mare, con affioramenti di carattere dolomitico e ritrovamenti di presenze risalenti al paleolitico. O quella, fra leggenda e verità, dell’antica città di Blanda, da cui nell’VIII secolo d.C. sarebbero giunte altre popolazioni per insediarsi nella vicina Maratea.
Oltre alla candidatura Unesco, nuove possibilità arrivano dall’accordo siglato tra Regione Basilicata e Comuni di Matera e Maratea per la realizzazione dell’eliporto. I lavori sono in fase progettuale e dovrebbero terminare entro il 2019. «L’accordo nasce dall’idea di collegare le due città in occasione di Matera “Capitale europea della cultura 2019”, nell’ambizione di un turismo non di massa», spiega il primo cittadino di Maratea. Un’ulteriore conferma dell’aspirazione della città ad avere un riconoscimento più ampio del proprio valore culturale in ambito turistico e internazionale. Conservando, tuttavia, intatto il suo unicum di territorio dalla vegetazione lussureggiante, con le frazioni disseminate lungo la costa e i centri arroccati dove la storia si perde e si ritrova, nei vicoli strettissimi come in mare aperto.
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