Dove finisce l’ abitato del centro storico di Venafro , iniziano gli
storici oliveti. Sono nato nel
quartiere del Palazzotto e quasi sempre insieme ai ragazzi delle Manchanelle si faceva gruppo per andare a giocare negli
oliveti. Per me e i miei coetanei spostarsi negli oliveti è stata sempre cosa facile. La
sveltezza fisica di noi ragazzini ci permetteva di stare
tra vetuste piante in pochi minuti . Le giornate di sole ci invitavano a passare
giornate intere tra gli olivi. Lì facevano
di tutto,giocavamo a nascondiglio, alla
guerra , alla caccia , raccoglievamo a
marzo la legna per la festa di S.
Giuseppe mentre a maggio ci procuravamo le
infiorescenze dell’Ampelodesmos mauritanicus che chiamavamo “cannizzi” per
masticarle nel tentativo di
dissetarci . Camminavamo in fila , le
strette stradine così ci imponevano. Percorsi antichi e sacrali che il tempo ci aveva consegnati, calcati nel passato da uomini ,donne, fanciulli,muli e asini. Nel mese
di maggio l’aria densa del profumo di Nepitella si
sposava all’odore delle mignole in fioritura che se numerose per i pratici
erano auspici di un buon raccolto. In
autunno nelle nostre sfrenate corse
tagliavamo i percorsi e inevitabilmente finivamo tra le famiglie di agricoltori impegnate nella raccolta. Eravamo accolti da urlati riproveri, con la promessa gridata dagli
olivicoltori di riferire l’accadimento ai
nostri genitori. Non comprendevamo che schiacciare anche una sola drupa
era cosa molto grave quasi un peccato.
Negli oliveti si
notava , il carro in legno sganciato dal mulo
che più in là mangiava biada
contenuta in una bisaccia e l’ intera famiglia che con scale molto lunghe,pertiche , uncini,canestri,
setacci e grezze lenzuola poste sotto la chioma procedeva
alla raccolta delle olive
battendole o “mungendole ” con le dita della mano. Negli oliveti a raccolta terminata ho visto le ultime
persone “ vachiare”,avevano diritto i poveri a
raccogliere le drupe sfuggite al proprietario.
Ricordi bellissimi che non mi hanno mai abbandonato.
Il tempo trascorso mi ha permesso di raccogliere notizie dei nostri olivi e di capire che il tempo aveva consegnato a Venafro una delle più
importati nicchie di biodiversità . La
pianta dell’olivo forse meglio dei edifici monumentali è riuscita a farmi capire che il
tempo passa. Guardo una pianta e penso
al percorso evolutivo compiuto in milioni di anni al termine del quale l’olivo
presenta tutti gli adattamenti sviluppati .Sono tanti , affascinanti e coinvolgenti. La pianta va guardata e
capita e soltanto in tali momenti riesce
a trasferirmi la forza evolutiva,presente
nelle radici, nel tronco, nelle foglie e nei fiori. Sono tante le piante o come dicono a Venafro “Piedi”a cui porgere attenzione .Il procedere
nelle passeggiate mi fa sentire viaggiatore che al termine del suo viaggio si sente arricchito. Il calpestio del suolo
diventa cammino sopra la storia. Sotto
le fronzute chiome delle piante si possono immaginare a raccogliere le olive ,il villicus e la familia rustica romana , le famiglie
longobarde, e poi angione, aragonesi,francesi,e infine i contadini
del Regno di Napoli.La pianta è diventata per ogni popolo il riferimento della propria
civiltà e il simbolo di religione per la
propria vita. È pianta che nel tormento del tronco rappresenta le difficoltà della vita e la linfa che in esso si muove trova
alla fine del viaggio nelle foglie la luce. All’oscurità in cui vivono le radici si contrappone la luce della chioma. Il percorso della linfa
diventa il nostro percorso e l’albero di olivo simbolo di vita piena di luce.
L’olivo si manifesta come la
pianta più umana degli alberi.
Il paesaggio agrario , lo sforzo che l’uomo esercita
sulla terra,non per fini estetici ma per modellare e dare ottima sistemazione alle coltivazioni, nella pianura di
Venafro si è
incominciato a delineare prima
dell’arrivo dei Romani. Il primo scrittore che
parla di Venafro è Marco Porcio
Catone (234-149 a.c.) che nel De Agricultura
riporta la fabbricazione a
Venafro di vanghe,tegole e funi di cuoio per il torchio. La presenza della materia prima permetteva tali attività artigianali in Venafro.Il ferro
sopra le Mainardi,l’argilla nel suolo
agrario e un intenso all’allevamento bovino. In tale
contesto come afferma lo scrittore
locale Cosmo De Utris l’intervento dell’uomo è stato fatto in anticipo rispetto all’arrivo dei Romani
“Perché fino a tanto che una
popolazione nascente edifichi le sue
case, comunque fossero,riduchi a coltura le campagne, dia scolo alla acque e
non tralasciando la postura, procuri le piante e accresca li tardi olivi in maniera considerevole,e
s’impieghi nelle manifatture non solo di necessità, ma anche di lusso, non ci
bastano mille anni, tanto più che le
pestilenze non mancavano e le guerre furono continue” . Con queste interessanti parole l’origine del paesaggio agrario destinato
agli olivi viene a spostarsi ancora più indietro, forse prima dell’arrivo dei
Latini. Il terreno che accoglie gli olivi
è in massima parte “ una fascia
di conglomerati fluvio lacustri, a cemento ferroso del Quaternario Antico”
posta tra i rilievi montuosi e la zona a valle, accumulo di alluvioni del Quaternario recente
del fiume Volturno.Le montagne di Monte Corno e Santa Croce e il vallone di Santa Croce
stratificando coniodi di deiezioni sopra gli antichi strati hanno originato il colle di S. Leonardo e il colle di S.
Paolo dove è stato edificato il paese e
realizzata la fascia olivetata storica ed eroica. La cerchia di monti del
Cretaceo in forma di emiciclo degradando
dolcemente verso la pianura ha
accolto nei posti di maggior sicurezza la storia di Venafro.Gli oliveti diventano
custodi di archeologia,per cui storia locale e olivicoltura formano una sola
entità ”.
I fratelli Monachetti descrivono la bellezza del posto.
“E’ questa città abbondantissima di ogni sorta di necessario all’umano
vitto, soprattutto spande da ambedue i
lati quasi due ali di abbondantissimi ulivi dai quali si raccoglie olio di fatturazione perfetta che, secondo la
testimonianza di antichi e moderni autori, non v’è migliore olio in tutto il
regno del mondo”.
Gli oliveti sorvegliano e custodiscono parte della nostra
pregiata archeologia: la svettante Torricella, mura ciclopiche,fortificazioni sannitiche e romane,resti
di ville rustiche , teatro romano,cattedrale
e castello ;
delle nostre tradizioni : l’ antica mulattiera ,
e della nostra geologia: falesie e rupi, ricoveri per il
biancone,falco lanaiolo,falco pellegrino e poiana.
Un vecchio adagio agronomico recita “La pianta è lo specchio
del terreno” . I giganteschi olivi di Venafro, che nell’ottocento si definivano
querce , trovano nella nicchia pedoclimatica i migliori parametri per vegetare : esposizione a mezzogiorno, giusta
pendenza,protezione dai venti freddi,
ricambio dell’umidità ,e proporzionato
scheletro di natura calcarea. Se
l’olivo è la coltura delle sei esse le
prime tre :solo,sole e sassi ,sono
verificate. Il suolo ha trovato la giusta coltura e il paesaggio
agrario incomincia a stabilizzarsi. La
cura prestata dai venafrani agli oliveti è stata sempre meticolosa
“Nel tempo che si raccolgono
le olive sono si puliti che
sembrano giardini “( Monachetti).
Strade in terreno naturale
di varia larghezza si intrecciano negli oliveti,hanno una pendenza che difficilmente sforza il passo
degli animali e dell’uomo. Il terreno è stato modellato. Si notano tutte le
strategie possibili adattate alla
pendenza del suolo. Ciglionamenti ,
lunettamenti in basso , terrazzamenti più in alto. Il terreno viene zappettato
soltanto per un cherchio uguale alla proiezione della chioma ,e il ciocco rincalzato ad ogni primavera. Il resto del
suolo viene gestito con un inerbimento naturale. Bellissime le parole del molisano G.
Iovine che con poesia descrive il
suggestivo paesaggio
“ Su ai margini della piana la campagna tende ai monti
prossimi con pigra dolcezza di declivi e di prode folte di ulivi dalle chiome
interamente verdi ,fronzute; le piante numerose in bell’ordine fanno bosco,
hanno una cordiale solidarietà di vita”
Venafro è luogo di emigrazioni “antichi popoli intorno all’anno 1200 scendendo per la via
Pescara e Sangro –Volturno o risalendo per l’antica via Cuma –Capua Isernia Aufidena -Sulmona
vennero a sovrapporsi o interporsi agli originari nuclei
preistorici ” ( G. Morra ).
In tale contesto il territorio
incomincia ad essere popolato. La
presenza di piante di oleastro comparse spontaneamente suggerirono ai primi
coltivatori di sperimentare l’introduzione dell’Olea Sativa. Cleobulo
scrivendo a Platone , riferisce
di una storia appresa da Attilio di Duronia in cui parla dell’eroe eponimo
Licinio di Venafro che è riuscito a
trovare , dopo lunghe ricerche,una pianta di olivo capace di resistere ai
freddi che se coltivata eviterà agli abitanti delle Mainardi e della
Maiella di
comprare olio dagli abitanti della terre
vicino al mare. L’olivo con Venafro inizia l’occupazione di territori interni
più freddi e l’affermazione di
Teofrasto, che l’olivo non vegeta a più
di trecento stadi dal mare viene superata. Soltanto considerando Venafro “
centro di confluenza di popoli,di scambi di civiltà, di commistione di lingua
e religione, ma soprattutto di scontri e
incontri di forze ,sotto la cui minaccia,diretta e indiretta venne a trovarsi”
come riporta G. Morra il posto diventa anche contenitore di biodiversità. M.P.
Catone menziona dieci cultivar,M.T. Varrone nove,Virgilio
tre,L.G.M. Columella dodici ,Plinio il vecchio sedici,Macrobio quattordici e
Rutilio Palladio sei. Ben quattro delle
varietà o come si diceva nel settecento
“maniere” di olivo sono presenti negli oliveti di Venafro.
La Licinia o la Liciniana dei Latini ; corrisponde all’attuale Aurina;
La Radius dei latini
corrisponde all’ Olivastro Breve mentre per
Joseph Pitton Tournefort sarebbe l’Olea media ,oblonga,fructu Corni
H.R.Monsp.
La Radiolus dei Latini corrisponde all’ Olivastro Dritto mentre per Joseph Pitton Tournefort
sarebbe anch’essa L’olea media ,oblonga,fructu Corni.
La Sergia o Sergiola dei
Latini corrisponde alla Resciola o Rosciola mentre per Joseph Pitton
Tournefort sarebbe l’Olea minor, rotunda,ex rubro e nigro variegata H.R.M.
Rientra tra le piante coltivate anche l’oleaster che viene chiamato Gnagnaro.
A Venafro per Niccola Pilla, primo classificatore,sono presenti undici varietà; per il canonico Francesco Lucenteforte diciotto varietà; mentre l’ultimo classificatore l’agronomo Gennaro Nola nel 1936 registra la presenza di quattordici varietà.
Tanti i riferimenti che il
passato ci consegna degli olivi di Venafro ma la varietà che la storia ci chiede di custodire gelosamente
è la Liciniana. Per Plinio “ un terreno pieno di ghiaia,nella campagna di
Venafro, è adattissimo agli olivi “ per cui
l’Italia grazie al territorio di Venafro ha ottenuto il primato in tutto
il mondo “ Principatum in hoc quoque bono obtinuit orbe maxime agro
Venafrano,eiusque parte, quae Licinianum fudit oleum unde et Liciniae gloria
praecipua olivae”.
Orazio in una satira immagina di incontrare l’amico Cazio.
Quest’ultimo è stato a lezione di
cucina dove è stato trattato il tema della preparazione
delle salse. Cazio entusiasta di quello che
ha imparato, mentre passeggia con
il caro amico, riferisce della preparazione di due salse; una delle due deve avere per condimento l’olio
spremuto dai torchi di Venafro
“ l’altra si ottiene
facendo bollir questa con erbe triturate
e sparsa di zafferano Coricio, lasciandola raffreddare, con l’aggiunta di olio
d’oliva spremuto dai torchi di Venafro”
Passano secoli e
l’olio di Licinia continua a mantenere il primato. Nel 1594 il
fiorentino Piero Vettori,nel suo famoso
trattato dell’olivo rinnova la bontà dell’olio
“ che ella fa ottimo olio, e le da il vanto sopra l’ altre
ulive ; e vuole che l’olio di Venafro,
il quale ancora oggi ha tanto nome , tragga l’onor suo di quivi.”
L’illustre medico ma
per passione cultore dell’olivo e dell’olio, Giovanni Presta di Gallipoli nel
1788 fa dono alla Maestà Ferdinando IV
, Re delle due Sicilie di 62 saggi di olio contenuti in fiaschetti posti in due
casse impiallacciate di legno di olivo . I fiaschi numero 31 e 32 erano
rispettivamente di Rosciola e Aurina.
H.S. Schuchardt,nel suo
pregevole libro,definisce l’oliva un piccolo frutto dalla grande storia.
Venafro nel contesto della olivicoltura italiana e mediterranea diventa come la drupa dell’olivo un piccolo
paese dalla grande storia.
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Scheda
elaiotecnica della varietà AURINA
ALBERO
Vigoria: media
Densità di chioma:folta
Internodi:corti
FOGLIA ADULTA
Forma:
ellittico-lanceolata
Superficie:leggermente
elicata
Dimensione:media
Angolo
apicale:acuto
Angolo
basale:acuto
Posizione
larghezza max:centrale
Colore
pagina superiore: verde chiaro
Colore
pagina inferiore: grigio verde cinereo
Note:nervatura
principale visibile
INFIORESCENZA
Struttura:corta
e compatta
Forma:racemosa
Lunghezza media
mm: 22
Fiori
ascellari:presenti
FRUTTO
Colore alla
raccolta: nero corvino
Invaiatura:tardiva
e graduale
Forma:sferoidale
Simmetria
apicale:simmetrico
Simmetria basale:simmetrico
Posizione
diametromax:centrale
Dimensione:piccola
Base:appiattita
Umbone:assente
Cavità
ped.forma/largh:circolare e larga
Epicarpo:pruinoso
con lenticella piccole
Peso 100
drupe gr .112-Diametro polare mm 11,5-Diametro trasversale mm 9,2-Rapporto
diametrico 1,25
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