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ENVIRONMENT AND OLD LANDSCAPE

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giovedì 12 gennaio 2017

PAESAGGIO AGRARIO STORICO DELLE AREE INTERNE APPENNINO



PAESAGGIO AGRARIO STORICO
DELLE AREE INTERNE DELL’APPENNINO
Appunti di storia del territorio ed evoluzione del paesaggio

di Riccardo Conti
associazione terrealte.org

AGOSTO 2003


FOTO R. CONTI
 MANDORLI  PRESSO IL VELINO, MARSICA

 FOTO R. CONTI

CAMPI APERTI PELTUINUM

FOTOR.CONTI
CAMPI APERTI NAVELLI TUSSIO


NEVICATA GENNAIO 2017
azienda agricola Scolastici di pieve di torina


PAESAGGIO AGRARIO STORICO
DELLE AREE INTERNE DELL’APPENNINO
Appunti di storia del territorio ed evoluzione del paesaggio

di Riccardo Conti
associazione terrealte.org



Come possono l’agricoltura o l’insediamento umano, le scelte storiche, produttive o insediative “produrre paesaggio”? Cosa significa “produrre paesaggio” e, correlativamente, si può ritenere che il paesaggio produca e determini scelte produttive o di sviluppo, oltre che ,naturalmente, insediative ?
L’agricoltura, ad esempio, e  le attività ad essa tradizionalmente connesse e collegate offrono strumenti per lo sviluppo cosiddetto sostenibile (al di là del significato oggi assunto dall’espressione sviluppo sostenibile: ormai sottoposto ad un vero logoramento semantico).
Già la progettazione d’interventi basati sulla valorizzazione di “cultivar autoctone” [1]crea o può creare un effetto d’annuncio con connessi schieramenti, opposizioni, polemiche, approvazioni.
In Appennino queste riflessioni sono già molto avanzate almeno in ambito accademico, di ricerca o nel settore dello sviluppo agricolo.[2]
L’agricoltura permette di valorizzare la complessità e la varietà biologica o - come si dice oggi – la biodiversità, la qualità ambientale, il recupero di un codice genetico dell’identità dei luoghi, nonché di comprendere i processi di trasformazione di lungo periodo. Si pensi in questo caso agli studi sulle forme di proprietà agraria arcaica nella Roma repubblicana, agli studi di Weber, Wilamowitz, Sereni .[3]
La riflessione sul progetto del territorio rurale (niente a che vedere con contenuti e finalità del ruralismo conservatore) può contribuire nel contempo a stabilire limiti, proporzioni, regole di sviluppo e riordino fondiario e degli insediamenti urbani. La riflessione sulla qualità della vità, oggi avanzatissima  per via dell’elaborazione in ambito statistico ed economico di indicatori sintetici della stessa, ci ricollega alla “psicourbanistica” di Guy Debord.

Ormai in molte città italiane e nel resto del mondo si parla di nuove opzioni per il “governo del territorio” come si esprime la nostra novellata e velleitaria Costituzione [4]: ad esempio i piani regolatori ad opzione zero, cioè senza più nulla da costruire, senza consumo di territorio (solo riqualificazione di spazi degradati, aree dismesse e/o marginali , insediamenti a polvere in funzione di “ricucitura”).
L’agricoltura è una prospettiva, anche se non l’unica, per discutere di tutto ciò. In aree montane ed interne , poi, si accentua la sua già nota plurifunzionalità e ciò permette di parlare di scelte produttive (qualità, estensivizzazione, sovranità alimentare, forestazione), di recupero idrogeologico del territorio (sarà problema sempre più attuale con i cambiamenti di clima in atto), di riqualificazione di sistemi insediativi diffusi (e questo è tema particolarmente importante per zone interne dell’Appennino che vivono di e con il loro territorio dalla fondazione), di servizi integrati con l’ambiente, di turismo sostenibile, di cultura, ricerca e sperimentazione scientifica, di formazione e didattica.

Possiamo dunque confrontare alcune esperienze e pratiche di buon governo maturate in contesto provinciale, nazionale ed europeo? E se non possiamo farlo qual è il motivo?

La rilevante crescita di superficie di area protetta[5] in Abruzzo e nella Provincia aquilana ha condotto all’interno del perimetro dei parchi ambienti rurali connotati da risalenti processi di antropizzazione.

Esistono veri e propri paesaggi agrari storici , sedimentate testimonianze del rapporto d’interazione e d’integrazione dell’uomo con la natura circostante: è il caso, ad esempio del cosiddetto “paesaggio a campi aperti” della Piana di Navelli o dell’Altopiano delle Rocche, ormai recessivo in Italia, perché inscindibilmente connesso alle forme di sfruttamento agrario e alle scelte produttive risalenti, in qualche caso alle popolazioni SAFIN[6](per le quali forse si trattava di forme di sfruttamento comune della terra, turnario e/o pascolivo) oppure al  “saltus” latino o al “pagus” e giunto attraverso l’ “ager publicus” o “adsignatus” e attraverso il latifondo fino alla rivoluzione francese.

A volte, questi paesaggi agrari storici sono o possono rappresentare la ragione stessa dell’esistenza dell’area protetta che non è adeguatamente tutelata dai vincoli paesaggistici previsti dalla legislazione vigente [7]e ciò al di là della definizione internazionale di area protetta, che prevede anche aree protette tutelate per ragioni di tutela integrata di natura, cultura e identità antropologica.
In sostanza, anche se gli amministratori pubblici locali non sempre mostrano di comprenderlo, potrebbero essere l’unica ragione per attrarre investimenti e turismo attraverso il circuito virtuoso cultura-ambiente-storia-turismo-ricettività-università-agricoltura-allevamento .-.[8] [9]

Altro problema, a cui sembra prestare attenzione una minoranza di persone è quello della protezione delle aree non protette. Se può entro certi limiti considerarsi acquisita una qualche forma di protezione delle aree protette (ufficialmente considerate tali dalle norme vigenti) resta tuttavia aperto il problema di qual è l’autorità titolata ad occuparsi e controllare il “governo del territorio” nelle aree non protette da alcun vincolo.
Non ci si riferisce solo e non tanto alle aree contigue alle aree protette che, come noto, per riverbero, qualche forma di protezione indiretta hanno, ma proprio ad un paesaggio agrario non protetto in alcun modo che, anche se recessivo, ancora esiste in Italia.
Il titolare dell’interesse giuridico a proteggere e tutelare non è lo stesso chiamato a promuovere.
Che ruolo può svolgere un Sindaco in tali aree, sottoposto com’è solo ad interessi ed appetiti locali? Gli interessi diffusi distillati dalla giurisprudenza non hanno se non limitata capacità di incidere ed essere rappresentati, legati come sono ad organizzazioni che sempre più (sociologicamente) assomigliano ad istituzioni e, quindi, hanno perso, se mai hanno avuto, il carattere di alterità e terzietà necessario a svolgere compiti così impopolari come vietare la costruzione di un capannone industriale in una piana “storica” o un insediamento di una fabbrica di tonno in  zone montane (casi storicamente avvenuti molte volte in Italia). [10]. Il paradigma per comprendere la situazione concreta potrebbe essere il tentativo di effettuare un accesso a documentazione amministrativa ex l. 241 in assenza di un titolo di proprietà di un terreno in zona. Ma potrebbe essere interessante anche la situazione di richiesta di accesso anche in presenza di un titolo di proprietà!

Dunque conservare ambienti rurali ed agrari come “ambiente naturale”, antropizzato o meno, significa per questi luoghi speciali salvaguardare testimonianze tangibili di identità dei luoghi, delle comunità, delle persone singole.
I processi di rielaborazione e riuso possono impedire la “museificazione” dei segni della storia evitando l’illusoria strada costituita dalla sola area parco/area protetta. Se non altro perché possono favorire  il presidio umano della aree interne e montane che è un po’ l’acquisizione piu’ significativa degli ultimi anni . La prima forma di salvaguardia della biodiversità è la presenza dell’uomo in montagna.

Vengono comunemente individuate due forme di paesaggio rurale ed agricolo: i) quella dell’abbandono[11] delle aree marginali interne e ii) quella del conflitto tra usi tradizionali e usi turistici o produttivi che è quella del conflitto tra  cosiddetti “insiders” ed “outsiders”. Il problema maggiore delle aree interne dell’Appennino è il verificarsi di una terza ipotesi quella iii) dello scambio dei ruoli in cui insiders ed outsiders si scambiano i ruoli reciproci e i locali, pur non avendo in alcun modo riflettuto sul loro sviluppo economico di lungo periodo adottano strategie e convinzioni che vanno contro il loro interesse mediato diretto (quello immediato diretto ed indiretto, aumentare il reddito individuale, è sempre tenuto presente).

Mentre nell’ipotesi i) ed in quella ii) si può intervenire con una pluralità d’interventi e con la pratica di nuovi paradigmi di sviluppo economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile utilizzando tutte le metodiche sperimentate in ambito Agende 21 locali o altri piani di sviluppo come quelle che vanno sotto il termine di “formazione della partnership   [12] nell’ipotesi iii) tutto ciò non è possibile e occorre trovare nuovi metodi d’intervento. Se può essere d’aiuto alla riflessione, in questo contesto si dovrebbe dedicare attenzione alla nozione utilizzata in antropologia di “coesione sociale”. Le aree dell’ipotesi iii) sono quelle che studiosi di vari campi hanno individuato, più come intuizione che con concettualizzazioni empiricamente provate, come aree a “bassa o assente coesione sociale” , con presenza pervadente di strutture sociali antiche sopravvissute e trasformatesi in freno allo sviluppo (ad esempio i vecchi apparati di mediazione politica ancora in bilico tra feudalesimo e notabilato locale?).[13]

I paesaggi rurali tradizionali costituiscono, nella loro identità, nella loro integrità, nel loro contenuto di biodiversità, la trama, l’ordito ed il tessuto vitale del più ampio paesaggio storico (storico-culturale: cfr.: definizione Unesco e Icomos) .
I paesaggi rurali tradizionali sono parte integrante del patrimonio culturale e demo-etno-antropologico della comunità nazionale ed europea.
In Italia i paesaggi rurali tradizionali costituiscono una delle principali ricchezze culturali e riserve di biodiversità delle varie regioni e realtà locali.
Essi si accompagnano sovente a pratiche agronomiche e colturali o di allevamento rispettose dell’ambiente che permettono la conservazione, nel lungo periodo, delle risorse naturali ed economiche. Mantengono la qualità dei suoli, impediscono l’erosione, preservano la quantità e la qualità delle acque sotterranee e l’armonica conservazione del reticolo idrico superficiale. Sono paesaggio “culturale”.
Ogni singolo paesaggio rurale tradizionale possiede una specifica e differenziata organizzazione spaziale con valenze percettive e scenico-visuali che favoriscono l’identificazione dei gruppi sociali con il territorio e i suoi insediamenti.
I paesaggi rurali tradizionali costituiscono una delle principali e più generalmente riconosciute risorse turistiche per le aree circostanti e quelle integrate.
Infine la tutela dei paesaggi rurali tradizionali può essere ottenuta mediante l’individuazione e la conservazione dei valori agronomici, biologici ed etnografici di ogni componente e attualizzandone la funzione economica e culturale, in una visione che superi la mera impostazione ecomuseale.
Di questi paesaggi restano rari e sempre più minacciati esempi anche in Abruzzo; essi sono minacciati da forme di agricoltura intensiva, di allevamento produttivistico (non produttivo), dall’abbandono e, peggio ancora, dall’urbanizzazione diffusa.
Riteniamo che il paesaggio agrario e rurale tradizionale di date aree dell’Appennino costituisca, nella sua integrità, patrimonio culturale comune europeo e come tale vada tutelato anche in aree non protette con il diretto intervento ed impegno finanziario dell’Unione Europea e dell’Unesco.






[1]  Cioè varietà vegetali già tradizionali dei luoghi , non importate di recente, anche se non necessariamente endemiche
[2]  basti pensare al lavoro svolto negli ultimi anni dal CEDAS (centro documentazione agricoltura sostenibile) e dall’ARSA in Abruzzo.
[3]  Cfr. per tutti …………………………………..
[4] Cfr.: riforma del titolo V Cost. , art……
[5] La definizione stessa di area protetta non è priva di significato: cfr. la classificazione IUCN
[6] Il termine “Safin” (da cui il  latino Sabini) è, credo, oggi acquisito da cultori di varie discipline come sinonimo di popolazione italica racchiudente le varie  denominazioni trasmesseci dagli scrittori greci e latini classici. Un ceppo comune dai Piceni, ai Sabini, agli Osci, agli Umbri, con lievi diversità – dialettali- nella lingua Osca integrati tra loro attraverso il rito del Ver Sacrum (le primavere sacre durante le quali i giovani destinati al sacrificio umano (una forma di controllo demografico-rituale della popolazione) venivano inviati in nuove zone da conquistare.
[7] La normativa attuale – L.1089/1939 – non è in grado……


[10] La stessa storia di alcune organizzazioni ambientaliste nel mondo, non solo in Italia, appare inestricabilmente legata a gruppi di potere e a realtà associative industriali, fra le più potenti e pervasive. Ne hanno in qualche modo espresso uomini, finanziamenti e programmi di normalizzazione comunicativa –eufemismo per esprimere una vera e propria intossicazione dell’opinione pubblica attraverso forme di disinformazione -. Tali organizzazioni poi sono divenute vere e proprie detentrici di monopoli della rappresentanza dell’ambientalismo attraverso una previsione normativa analoga a quella della rappresentanza sindacale (organizzazioni più rappresentative sul piano nazionale?).
[11] a questo è collegata la riflessione sul ruolo degli usi civici e le proprietà e diritti collettivi nel Mezzogiorni d’Italia di cui si occupano e malamente solo i giuristi. Incidentalmente il notariato italiano è l’unico tutore di interessi ambientali in aree del Meridione. Ma a questo è collegata anche la riflessione sull’abbandono puro e semplice che ha causato danni e vantaggi in una prospettiva “ambientalistica
[12] p.es.: basato su sviluppo rimanenti o superstiti risorse locali, natura, cultura, di natura indogena, cioè non imposta dall’alto, con i processi di programmazione bottom-up, condiviso e gestito direttamente da comunità locali.
[13] Per alcune idee contenute nel testo sono tributario al convegno internazionale sul paesaggio rurale storico – Genova 25.6.2002 – cfr. www.parks.it/federparchi/CS.federparchi/CS-2002-06-1/html

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