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ENVIRONMENT AND OLD LANDSCAPE

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mercoledì 23 gennaio 2019

VITE MARITATA, PAESAGGIO E MITO - ESTRATTO DA :









MAESTRO DI ANAGNI  1200/1300 - CRIPTA CATTEDRALE -
SAN MAGNO SALVA BAMBINI CADUTO NEL POZZO
MENTRE LA MADRE RACCOGLIEVA FICHI - LA VITE MARITATA AL FICO
IL MAESTRO DI ANAGNI (PRIMO O SECONDO) SAREBBE LO STESSO DEGLI AFFRESCHI DELLA SALA CAPITOLARE DEL CONVENTO DEI SS 4 CORONATI A ROMA




CAPITOLO 9

VITE MARITATA, PAESAGGIO E MITO
SPUNTI E RIFLESSIONI

Riccardo Conti

La vite, invecchiata sopra l’albero vecchio, cadde insieme con la ruina d’esso albero,
e fu per la trista compagnia a mancare insieme con quello.
(Leonardo da Vinci - Aforismi)

La vite maritata sembra compendiare in sé un nuovo settore di studi del paesaggio e delle sistemazioni agricole oltre a proporsi essa stessa come oggetto di studio. In un paese come il nostro, devastato dal genocidio culturale operato sul paesaggio, la vite maritata può diventare una nuova narrativa del paesaggio e dell’ambiente (al pari di altre sistemazioni agricole). Di ciò si accorse il grande Emilio Sereni nel suo fondamentale saggio sulla Storia del paesaggio agrario italiano (lettura che non dovrebbe mancare ad alcuno). Riassumendo decenni di studi e secoli di commenti si può dire che la vite maritata sia un compendio di storia del paesaggio agrario quando non un mezzo per sconfinare in molti altri campi della storia, non solo agraria.


FOTO BUISMANN, ANNI '20

Parliamo della vite perché parlare della vite è mettere a fuoco il fattore della densità culturale del paesaggio dovuta a fenomeni storici, economici, agronomici, produttivi, tecnologici. I sistemi di allevamento della vite sono vari (40 per il prof. A. Scienza) ma, semplificativamente, in Italia e nel Mediterraneo, si sono affermati:
- la vite ad alberello, anche molto bassa di origine forse greca e poi magnogreca, cioè senza sostegno;
- la vite con sostegno vivo o morto (semplificando i pali);
- nell’ambito di quella con sostegno si è affermata, anche, la vite maritata ad albero anch’essa antichissima, forse proveniente dall’Asia Minore e che definiremo, per esemplificare, “etrusca” sulla scorta della tradizione antichissima e delle fonti concordi e ripetute tralatiziamente.
È da notare tuttavia che gli antichi Greci chiamavano l’Italia “Enotria” perché in questa terra si utilizzava il sostegno per le viti, e sembra da studi di linguistica che l’etimologia del termine enotrio attenga ai pali di sostegno non alla vite.
La vite etrusca, cioè con sostegno vivo, sembra essere sopravvissuta fino a tempi recenti per molteplici ragioni nelle zone soggette ad influenza etrusca e reimportata in Italia, secondo alcuni autori, dalle zone della Francia mediterranea in cui si era affermata (denominandosi arbutus gallicum): una o più viti maritate a una pianta arborea e i festoni delle viti a collegare le piante lungo i filari. La vite ad alberello basso, invece, è oggi più rara per numerose ragioni quali il clima, il terreno, l’umidità.

ARAZZO DI BAYEUX
UNA VITE MARITATA

Dunque, la vite avvinta all’albero (in varie fogge e con diverse tecniche di cui parlano tutti gli autori) è per la nostra definizione la vite “maritata”. In Campania, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e, stranamente, anche in Abruzzo ne sopravvivono molte prove: fra tutte le viti maritate dell’Asprinio di Aversa.
Sono da ricondurre a questa le forme di allevamento a volte molto alte quali le alberate campane, toscane e della pianura padana. I più antichi coltivatori avevano osservato che si trattava di una pianta lianosa che quindi tende ad avviticchiarsi naturalmente e non è da escludersi, forse, che abbiano imitato la natura. Tutto da stabilire se in origine usassero la vite selvatica (che vinificavano) o le prime varietà di Vitis vinifera selezionate e coltivate. Comunque, la sopravvivenza della vite maritata come relitto colturale o come recupero costituisce non solo un fenomeno di archeologia del paesaggio ma anche di archeoagronomia e una vera sfida culturale. La vera anomalia della vite maritata è non soltanto che è sopravvissuta a secoli di mutamenti nelle sistemazioni agrarie e testardamente riemerge dal nostro passato, anche in nuovi impianti in tutta Italia (molte le segnalazioni di case vinicole e viticultori che ne tentano il recupero), ma anche che, contrariamente a quanto si pensava ai tempi di Sereni, sia sopravvissuta e sopravviva anche in zone apparentemente non toccate dalla dominazione etrusca. Cioè la linea di demarcazione tra zone soggette in antichità ad influenza etrusca e zone non soggette. Infatti, sulla presenza di viti maritate nella vallata aquilana-amiternina (di cultura non etrusca) ho condotto una ricerca personale, interrogando anziani di età veneranda e uno di essi ha confermato senza dubbi che nei primi anni del secolo scorso era palese la presenza non sporadica di viti maritate ad alberi. Tale certezza si è rafforzata apprendendo che la tecnica di allevamento era diffusa anche nel reatino (zona culturalmente sabina, segnalazione nelle vicinanze del lago di Piediluco negli anni ’50 del Novecento). Non riuscendo tuttavia a trovare copiose tracce, si deve ricorrere a tentativi di mappatura prima di dare risposte definitive. Nella “Corografia dell’Italia “di Attilio Zuccagni-Orlandini edita a Firenze nel 1845 si legge in un passo riguardante l’Abruzzo aquilano (Abruzzo ulteriore II), alla voce “Vigne”: “Ordinariamente le vigne vengono piantate nelle basse valli e sopra le colline: si propagano con Magliuoli sul cominciare di primavera e si potano corte in febbraio ed in marzo. Era antica consuetudine tenerle molto basse e distanti tra loro tre palmi circa: da poco tempo fu introdotto l’acero nel Distretto di Aquila ed il metodo di far ascendere le viti su quell’albero si è ivi ed altrove diffuso. L’autore del primo Ottocento, dunque, sembra propendere per una diffusione relativamente tarda della vite maritata nella zona. Gli alberi cui si maritavano le viti erano moltissimi e ancora oggi si trovano il testucchio (acero campestre, nome regionale toscano), l’olmo, il pioppo, il gelso, il ciliegio, il platano (Orazio, platanus caelebs), il bagolaro ma, piu’ frequentemente, il pioppo nero e l’olmo, raramente il salice bianco (in terreni molto umidi), la farnia. Varrone (I sec. a.C.) descrivendo l’area di Mediolanum, l’attuale Milano, dice che le viti, appoggiandosi ad alberi chiamati opuli, facevano passare i tralci da un albero all’altro. Columella (de Re rustica - Liber de arboribus) accenna agli alberi preferiti: opulus (acero campestre), olmo, frassino, fico e olivo a sud del Po e anche corniolo, tiglio, carpino e quercia a nord. Il bolognese Pier de Crescenzi (fine 1300) specifica che “..l’olmo è arbore noto, il quale può sostenere ogni aere… Questo arbore è ottimo per le vite che s’ordinano ad arbusto acciò che salghin sopresse”.
Sull’olmo, in particolare si è appuntata l’attenzione di una studiosa olandese Christine Buiseman grazie alla quale abbiamo oggi testimonianze fotografiche importantissime sulla vite maritata negli anni ’20 del Novecento.
È della massima importanza notare che il fenomeno, quasi ovunque in Italia, è da ricondurre alla pratica della policoltura, cioè alla possibilità di coltivare sullo stesso appezzamento diverse colture, ad esempio grano, vite sui confini o a distanze particolari, orti o altre coltivazioni specializzate. In genere, catastalmente, si tratta di “seminativi arborati” o “prati arborati” una qualità di coltura che in catasto ha una tariffa d’estimo particolare. Storicamente, era il modo per avere diverse produzioni dallo stesso fondo quali il fieno o i cereali oltre all’uva ed alla legna da ardere derivata dalla potatura degli alberi per non parlare dell’uso certo del fogliame per l’alimentazione degli animali.
L’influenza di queste forme di allevamento ha dato luogo a tradizioni difformi nelle regioni italiane: i Greci razionalizzarono la produzione viticola nell’Italia meridionale, gli Etruschi in alcune aree della Campania ed in Toscana, nonché in buona parte dell’Italia centrale; i Romani, in seguito, nel resto della Penisola. Tale evoluzione consolidatasi nei secoli ha assecondato le esigenze tecniche ed economiche del viticoltore, si è confrontata con la variabilità delle condizioni pedoclimatiche della Penisola; la forma d’allevamento è diventata uno dei modi in cui i viticoltori hanno modellato viti e paesaggio. Così da nord a sud, si vedono ancora, a volte in filigrana a volte ancora ben vive, le pergole del territorio alpino, i tendoni veneti, le spalliere piemontesi, toscane e umbre, le alberate aversane, i tendoni pugliesi ed abruzzesi, gli alberelli calabresi e siciliani.
La coltivazione della vite, per vie che sono anco ra oggetto di studio, diventa la componente fondamentale dell’economia della Magna Grecia e attraverso la mediazione culturale degli Etruschi, a partire dall’enclave campana (Napoli e Cuma erano colonie etrusche ) si diffonde in tutta l’Italia centrale (e negli empori del Mediterraneo, nella Gallia). Il paesaggio agricolo tra il V ed il IV secolo a.C. deve aver subito profonde trasformazioni: non più solo boschi, pascoli, campi coltivati o incolti (saltus) ma anche filari di viti e olmi intervallati da campi lavorati, la viticoltura cosiddetta promiscua, come apprendiamo dallo stesso Catone nel De Agricoltura. Il paesaggio viticolo delle regioni meridionali è invece, come si è detto più simile a quello greco da cui erano partiti i coloni con viti allevate ad alberello, con potatura corta e sostegno morto, mentre quello delle regioni etrusche o influenzate dalla cultura etrusca (per esempio la Pianura Padana) sono caratterizzate da potature lunghe e dai sostegni vivi. Gli Etruschi, verosimilmente, hanno trasmesso questa forma colturale alle tribù di Galli padani, i Reti delle Alpi e i Veneti.La trasmissione subì però delle profonde modificazioni che tenevano conto della preesistente viticoltura primigenia della Pianura Padana (vitigni e modalità di allevamento), sviluppata dagli abitanti della Liguri. Della viticoltura cisalpina, come noto, non solo si hanno numerose testimonianze archeologiche, paleobotaniche, epigrafiche, ma anche letterarie da parte degli autori classici quali Varrone, Columella, Virgilio, Plinio il Vecchio, georgici romani vissuti tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. E’ noto che la produzione di vino in Italia era molto elevata, veniva esportato al di là delle Alpi e conservato in otri, anfore ed infine, sembra, botti di legno (i Romani avrebbero appreso, secondo alcuni autori, l’uso delle botti dai viticoltori della Gallia). Questo modello di viticoltura non avrebbe subito sostanziali modifiche neppure con l’occupazione romana.
Innumerevoli gli autori che arrivando in Italia dal Nord Europa, nel ‘700, scoprivano la vite maritata come mezzo di governo del territorio (utile nelle bonifiche dove la vite soffriva per l’umidità e per la predilezione degli italiani per la policoltura), lodando l’agricoltura che rendeva la Penisola un giardino. E’ certo che nel ‘500 il paesaggio della piantata si estendeva dalla Toscana all’Umbria e alle Marche, dal Lazio alla Campania, dal Veneto all’Emilia, fino a tutta la Lombardia e al Piemonte. Secondo alcuni autori la piantata lombarda si differenziava dall’alberata toscana e umbro-marchigiana per la maggiore larghezza dei campi e per il carattere stabile assunto dagli elementi che delimitavano i campi regolari: le capezzagne, le scoline e i fossati. Tuttavia fino a tutto il secolo XVIII le piantate continuarono ad essere inframmezzate da larghi tratti di seminativi e terreni incolti, da boschi ed acquitrini. Le bonifiche, la messa a coltura di nuovi terreni, nonché la diffusione della mezzadria favorirono un’ulteriore estensione di filari di alberi vitati. Nuove suggestioni tuttavia alimentano l’interpretazione naturalistica del territorio in cui è presente la policoltura e la vite maritata o forme di piantata, suggestioni in passato mai esplorate. Ci riferiamo ad un percorso a ritroso alla ricerca delle ragioni della persistenza della vite maritata.
Supponiamo che la posizione, la giacitura di una vite, pianta così importante ora e nell’antichità, non sia stata dettata esclusivamente da motivazioni agronomiche ed economiche, ma avesse in antico anche una funzione, per così dire, sacrale, rispondesse, cioè a criteri suggeriti o rinforzati dal rapporto con la divinità. Se il confine è sacro, non lo posso superare pena la punizione divina. Se il confine è sacro o, in altra e diversa misura, la pianta è sacra, non posso svellerla, spiantarla. Allora la pianta gode di protezione da parte delle leggi degli uomini e da parte delle leggi divine quindi la protezione è rinforzata.

Facciamo un passo in avanti: se pongo la vite al confine gode di protezione il confine e gode di protezione la pianta, anche al di fuori di un bosco sacro o di un recinto sacro ed, in effetti, in effetti molte viti maritate ancora sussistenti sono poste sul confine.
Cerchiamo conforto, ancora una volta, nelle fonti, una fra le tante:
Dioniso scoprì la vite ma, reso folle da era, andò vagando per l’Egitto e la Siria. In Frigia Rea lo liberò dalla follia e gli insegnò riti misterici… Dioniso infuse follia in Licurgo, figlio di Driante, re degli Edoni, che abitano lungo il fiume Strimone in Tracia. Licurgo convinto di colpire un tralcio di vite percosse con una scure e uccise il proprio figlio Driante, poi dopo avere reciso le estremità del figlio, tornò in senno.La terra smise di produrre frutti e il dio vaticinò che essa sarebbe tornata a dare il raccolto se Licurgo fosse stato giustiziato, cosa che avvenne per volontà di Dioniso. Morì dilaniato dai cavalli” .
(Apollodoro - biblioteca - libro terzo)

BIBLIOGRAFIA
Raffaele Buono, Gioacchino Vallariello, 2002. La vite maritata in Campania. Delpinoa, n.s. 44: 53-63.
Desplanques Henri, 1969. Campagnes ombriennes, contribution à l'étude des paysages ruraux en Italie centrale, A. Colin, Paris.
Emilio Sereni, 1961. Storia del paesaggio agrario.
P. Fuentes-Utrilla, R. A. López-Rodríguez and L. Gil*. The historical relationship of elms and vine. Universidad politécnica de Madrid. 28040 Madrid, Spain.Invest agrar: sist recur for (2004) 13 (1), 7-15.
Per approfondire l’argomento si può consultare il sito http://laboratoriopermanentepaesaggio. blogspot.it





URBISAGLIA ANNI '70 VITI MARITATE
FOTO AVOLA


TACUINUM SANITATIS
VITE MARITATA

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VITI MARITATE
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