ESTRATTO DAL CORRIERE DELLA SERA SCIENZE
Identificati
i lecci sacri ai romani
nel bosco di Monteluco
nel bosco di Monteluco
Sono esemplari con ceppaie di oltre duemila anni e 3
metri di diametro. Nella zona tracce di culto antichissime
MILANO - I vecchissimi lecci posti nella zona centrale
del bosco di Monteluco nei pressi di Spoleto potrebbero essere gli stessi
esemplari che componevano il bosco dedicato a Giove e sacro per gli antichi
romani. Ma come è stato possibile testare questa ipotesi? «Innanzitutto
basandosi sulle dimensioni eccezionali delle ceppaie che hanno un diametro
maggiore di 3 m e dei cosiddettipolloni, cioè i
cacci di piante tagliate tanti anni fa, che sembrano singoli alberi da quanto
sono grandi», risponde Bartolomeo Schirone, ordinario di selvicoltura e
assestamento forestale.
DATAZIONE -
La disposizione geometrica ha dato inoltre il suo contributo nel riposizionare
storicamente quest’area. Alcuni fusti oggi isolati facevano infatti parte di
uno stesso cerchio di alberi: lo dimostra il loro patrimonio genetico identico.
Da qui a pensare che appartenessero a millenarie ceppaie ormai disgregate il passo
è breve. Quanti anni hanno? Le indagini dendrocronologiche che studiano gli
anelli dei tronchi, la loro ampiezza e variazione, sostengono che risalgono a
circa 500 anni. Segno che le ceppaie hanno un’età quattro volte superiore,
intorno ai duemila anni. «La datazione con il C14 (carbonio-14), già usata per
i fossili, costituirebbe la prova decisiva», dice Bartolomeo Schirone. «A
tutt’oggi non è stato però possibile eseguirla per ragioni economiche». Si
spera dunque nella sensibilità delle istituzioni che possano sovvenzionare
questo ramo della scienza.
SCRIGNI DI BIODIVERSITÀ - Sui boschi sacri gli esperti hanno puntato
ultimamente la loro attenzione perché sono serbatoi di biodiversità e perché
attraverso le specie che vi si trovano si può ricostruire la storia passata
della nostra vegetazione. In quello di Monteluco, a fianco dei lecci
sempreverdi e delle specie arboree dominanti si trovano aceri, carpini bianchi,
noccioli, meli e ciliegi selvatici, maggiociondoli, corbezzoli e arbusti come
per esempio il ginepro, la ginestra, il rovo, il biancospino, il corniolo e il
viburno, in armonico equilibrio tra loro, quasi a testimoniare quel silenzio e
quella pace che da secoli li ha mantenuti intatti.
CENSIMENTO -
Un censimento di quanti boschi sacri esistono nel nostro Paese non è stato
ancora eseguito. Su base toponomastica si potrebbe tuttavia ricostruire una
mappa e stabilire la loro distribuzione. Il lucus, in latino
letteralmente «radura nel bosco dove passa la luce del sole», era infatti il
bosco sacro per i romani. Con tale termine si ricordano il Lucus Angitiae, oggi Luco dei Marsi, consacrato
alla dea Angizia dal popolo italico dei Marsi; il Lucus Maricae; il Lucus Vestaepresente
a Roma dietro alle case delle vergini vestali alle falde del Palatino andato in
fiamme con il grande incendio del 64 d. C. Le etimologie lucus, luceri, luciniano, luconiano hanno
pertanto a che fare con il concetto di bosco sacro. Nel Lazio se ne contano
ancora oggi alcuni intorno a Nemi, a Viterbo, e in Abruzzo sulla Maiella. «Qui
si possono trovare genotipi particolari che si sono evoluti sul posto e piante
vetuste con età maggiore di quelle ritrovate in letteratura», precisa
Bartolomeo Schirone. «Se sui libri il faggio può raggiungere al massimo 250
anni e il pino nero 200, in questi boschi toccano quota 600-700 anni».
Monteluco ha stimolato in particolare la curiosità
degli studiosi perché nelle sue vicinanze è stata trovata anche la lapide su
cui è stata scritta la Lex Luci Spoletina,
il primo esempio di norma forestale, scritta in latino arcaico e risalente al
III secolo a. C., da cui ha preso spunto l’odierna legislazione sulle aree
protette. «Sebbene antichissima, conteneva tutti i concetti che servivano per
rispettare la natura», dice Bianca Maria Landi, dottore in progetti ambientali
e forestali a Firenze. «In essa veniva detto cosa era vietato fare, la pena
prevista in caso di inosservanza e chi era preposto al controllo e alla
riscossione della multa stabilita». Testualmente si legge: «In questo bosco
sacro nessuno osi portar via alcunché». Tutto era intoccabile: gli alberi si
potevano tagliare una volta all’anno in occasione di una sorta di sacrificio
alla divinità. Chi non rispettava questo divieto doveva pagare 300 assi
al dicator, il magistrato che secondo alcuni aveva una
funzione esclusivamente religiosa mentre per altri era colui che doveva mettere
in pratica la norma facente parte del diritto pubblico a tutti gli effetti.
Coeva a quest’ultima era la Lex Luci Lucerina,
che a un certo punto afferma: se il divieto viene violato, «chiunque ne abbia
voglia» può richiedere un rimborso al trasgressore. «Sancisce il diritto della
collettività che è un concetto incredibilmente attuale», dice Bianca Maria
Landi. «Da poco tempo si parla infatti di diritti diffusi, di risarcimento
ambientale e di ruolo della collettività come promotrice di azione e di
risoluzione del danno». È del 1986 la legge istitutrice del ministero
dell’Ambiente, nel cui articolo 18 si sottolinea come le associazioni
ambientalistiche possano denunciare un danno ambientale.
Manuela Campanelli