FOTO PREDATE NELLA RETE
SIA I LUOGHI ESATTI CHE GLI AUTORI MI SONO SCONOSCIUTI MA SONO MOLTO INTERESSANTI
TESTO ILARIA AGOSTINI SUL PAESAGGIO CAMPANO
NEL VIAGGIO IN ITALIA DEL '700
TESTO ILARIA AGOSTINI SUL PAESAGGIO CAMPANO
NEL VIAGGIO IN ITALIA DEL '700
FRIULI
BORGOSATOLLO (BS)
OFFIDA (MARCHE)
MUGELLO (TOSCANA)
PUBBLICHIAMO INTERESSANTE TESTO SULLA VITE MARITATA E IL PAESAGGIO CAMPANO NEL '700
TESTO DI ILARIA AGOSTINI
PUBBLICHIAMO INTERESSANTE TESTO SULLA VITE MARITATA E IL PAESAGGIO CAMPANO NEL '700
TESTO DI ILARIA AGOSTINI
L'Agro
aversano
Si attraversa il Volturno a Capua, dove i viaggiatori non mancano di osservare la grande quantità di cippi e di fregi romani riutilizzati nei muri delle case della città nuova; la città antica, Capua Vetere, con i suoi importanti resti architettonici, si trova a poche miglia ed è tappa obbligata.
Proseguendo sulla via Appia e approssimandosi alla città di Aversa, si apre agli occhi dei francesi uno strano, importante per dimensioni, paesaggio agrario: la coltivazione promiscua tra cereali, viti e alberi - che doveva pur essere a quei tempi ben più frequente, lungo la penisola, che ai giorni nostri! - assumeva nella campagna pianeggiante che copre la distanza tra Capua e Napoli un tale valore estetico che anche le guide dell’epoca si trovano nella necessità di preparare il viaggiatore ad un simile, nuovo paesaggio.
La guida di Lalande, collaboratore di Diderot e d’Alembert nell’opera che da sola dà la cifra del secolo, descrive l’agro aversano sottolineandone il valore di reperto di paesaggio storico: «Le viti che si trovano in abbondanza nei dintorni di Napoli si maritano ai pioppi, così come Virgilio e Omero dicono essere state ai loro tempi. Ergo aut adultâ vitium propagine / Alta maritat Populos. Hor. Epod. II. Nel resto d’Italia invece sono gli olmi, o altri alberi, ad essere utilizzati; tutto ciò rende le campagne molto fresche e molto ridenti; non se ne può vedere di più piacevoli di quella che si attraversa arrivando da Roma a Napoli per Capua; la strada è costeggiata da campagne coperte da alti pioppi; questi alberi sono uniti da vigne che vanno serrate dall’uno all’altro, in forma di ghirlande. Ci sono tre o quattro ceppi di vite a ciascun pioppo e da dieci a dodici passi di distanza da un albero all’altro»[7].
L’enciclopedico Lalande, la cui guida diventa uno strumento indispensabile nel voyage di fine Settecento, descrive la maniera di educare la vite in uso nella pianura a sud dei Regi Lagni, coltura che presenta, proporzionalmente all’avvicinarsi alla città partenopea, un incremento di densità. La vite governata a tralcio lungo è tradizionalmente maritata al pioppo, in festoni tesi tra una pianta e l’altra. I festoni, in cui i tralci sono sistemati a rete – a rezz’ ‘e pecore [8]–, possono raggiungere gli otto/dieci metri di altezza; nel rigoglio estivo costituiscono un vero e proprio sistema di quinte verdi dal comportamento tessile, al di sopra delle quali sono rade lecacciate dei pioppi, potati senza scrupolo nei mesi invernali per rifornire di combustibile la grande città. Il seminativo arborato, localmente detto arbustato, gode della fertilità dei terreni di origine piroclastica della pianura napoletana e ospita, suscitando la meraviglia dei viaggiatori, una rotazione continua di cereali ed ortaggi. Ancora Lalande parla di tre semine annuali («Altri seminano tre volte all’anno, e in successione, i differenti grani» [9]ed elenca le colture: grano, trifoglio, panico, lupini e rape, dandoci così un indizio dell’uso del sovescio e della semina di foraggi.
Si attraversa il Volturno a Capua, dove i viaggiatori non mancano di osservare la grande quantità di cippi e di fregi romani riutilizzati nei muri delle case della città nuova; la città antica, Capua Vetere, con i suoi importanti resti architettonici, si trova a poche miglia ed è tappa obbligata.
Proseguendo sulla via Appia e approssimandosi alla città di Aversa, si apre agli occhi dei francesi uno strano, importante per dimensioni, paesaggio agrario: la coltivazione promiscua tra cereali, viti e alberi - che doveva pur essere a quei tempi ben più frequente, lungo la penisola, che ai giorni nostri! - assumeva nella campagna pianeggiante che copre la distanza tra Capua e Napoli un tale valore estetico che anche le guide dell’epoca si trovano nella necessità di preparare il viaggiatore ad un simile, nuovo paesaggio.
La guida di Lalande, collaboratore di Diderot e d’Alembert nell’opera che da sola dà la cifra del secolo, descrive l’agro aversano sottolineandone il valore di reperto di paesaggio storico: «Le viti che si trovano in abbondanza nei dintorni di Napoli si maritano ai pioppi, così come Virgilio e Omero dicono essere state ai loro tempi. Ergo aut adultâ vitium propagine / Alta maritat Populos. Hor. Epod. II. Nel resto d’Italia invece sono gli olmi, o altri alberi, ad essere utilizzati; tutto ciò rende le campagne molto fresche e molto ridenti; non se ne può vedere di più piacevoli di quella che si attraversa arrivando da Roma a Napoli per Capua; la strada è costeggiata da campagne coperte da alti pioppi; questi alberi sono uniti da vigne che vanno serrate dall’uno all’altro, in forma di ghirlande. Ci sono tre o quattro ceppi di vite a ciascun pioppo e da dieci a dodici passi di distanza da un albero all’altro»[7].
L’enciclopedico Lalande, la cui guida diventa uno strumento indispensabile nel voyage di fine Settecento, descrive la maniera di educare la vite in uso nella pianura a sud dei Regi Lagni, coltura che presenta, proporzionalmente all’avvicinarsi alla città partenopea, un incremento di densità. La vite governata a tralcio lungo è tradizionalmente maritata al pioppo, in festoni tesi tra una pianta e l’altra. I festoni, in cui i tralci sono sistemati a rete – a rezz’ ‘e pecore [8]–, possono raggiungere gli otto/dieci metri di altezza; nel rigoglio estivo costituiscono un vero e proprio sistema di quinte verdi dal comportamento tessile, al di sopra delle quali sono rade lecacciate dei pioppi, potati senza scrupolo nei mesi invernali per rifornire di combustibile la grande città. Il seminativo arborato, localmente detto arbustato, gode della fertilità dei terreni di origine piroclastica della pianura napoletana e ospita, suscitando la meraviglia dei viaggiatori, una rotazione continua di cereali ed ortaggi. Ancora Lalande parla di tre semine annuali («Altri seminano tre volte all’anno, e in successione, i differenti grani» [9]ed elenca le colture: grano, trifoglio, panico, lupini e rape, dandoci così un indizio dell’uso del sovescio e della semina di foraggi.
Figura
3 Viti maritate a pioppi nell’agro aversano, in veste invernale.
Le viti, mantenute a tralcio lungo, possono raggiungere i dieci metri di
altezza.
Figura 4 I tralci, disposti a formare una rete, sono legati col salice ai fili di ferro tirati in orizzontale da un tronco all’altro.
Figura 4 I tralci, disposti a formare una rete, sono legati col salice ai fili di ferro tirati in orizzontale da un tronco all’altro.
Il giudizio estetico dei
viaggiatori francesi non è omogeneo: apprezzata univocamente l’unicità del
paesaggio, i diari divergono in merito alla sua bellezza. Questo il giudizio di
Roland de la Platière, ispettore delle manifatture di Lione, che arriva a
percepire il paesaggio agrario come una foresta, in cui si trovano radure,maisons de plaisance e città, collegate da viali magnifici
(il ricordo delle allées delle foreste francesi è inevitabile).
È una foresta in cui lo sguardo è costretto, ma allorquando ci si alza dal livello della distesa verde il paesaggio si apre generoso allo sguardo del viaggiatore. «Tutte le campagne dei dintorni, fino a Napoli sono coperte di vigne sostenute da alberi, pioppi o aceri, piantati in linea retta a formare dei larghi viali. Si tirano i tralci nella direzione degli alberi; e al momento in cui riescono a toccarsi reciprocamente, si legano insieme: in questo modo, quando la foglia cresce e i grappoli crescono sui tralci allungati orizzontalmente, il peso dà loro una curvatura a festoni, che produce un effetto affascinante. Figuratevi tutta una campagna così ornata di ghirlande, di verdura e di frutti che prendono colore e le terre al disotto ben coltivate a grano, tuberi, ortaggi o prati artificiali e avrete un’idea di questo eccellente e bel paese. È, fino a Napoli, un orto continuo, con paesi e case di campagna in gran numero e viali superbi. In pianura il colpo d’occhio è limitato; ci si trova come in una foresta; ma la minima altura dispiega con pompa e magnificenza tutte queste ricchezze della natura» [10].
Diversa è l’opinione di Pierre Adrien Pâris, architetto, che ha occasione di visitare più volte il regno di Napoli. Nel journal del 1774, sostanzialmente contemporaneo a quello di Roland de la Platière, si legge che la pianura «è bella e ben coltivata» [11]; in un viaggio successivo, la cui testimonianza odeporica si limita ad una lettera, Pâris si attarda sul paesaggio aversano dandone un commento da cui traspare un senso di spiacevolezza dato dall’angustia del coup d’œil, unito al disincanto nei confronti di una campagna tanto produttiva, ma priva dei reperti archeologici così cari all’autore. «L’effetto di queste campagne è più bello nella descrizione che nella realtà. Il primo colpo d’occhio incanta, ma ben presto la noia sopraggiunge, poiché queste alberate monotone chiudono la vista e non lasciano scoprire nulla di una regione d’altra parte così interessante» [12].
Il giudizio, espresso nel 1807, si può avvicinare all’assenza di pittoresco lamentata da Chateaubriand negli stessi anni, «la regione è fertile, ma poco pittoresca». La campagna ben coltivata è solo una delle componenti necessarie per il beau pays.
Le guide settecentesche, generalmente attente agli ingressi di città, segnalano l’apparato vegetale della via Appia che conduce a Napoli[13]: inserito nella stessa logica agraria, presenta un duplice, consueto, alto filare di viti maritate ai pioppi, i cui festoni inducono il marchese de Sade, presente a Napoli nel 1776, a pensare ad una strada parata a festa.
«Una strada superba, fiancheggiata su entrambi i lati da grandi pioppi e ornata di pampini. Insomma, tutto dà l’impressione di una festa» [14].
È una foresta in cui lo sguardo è costretto, ma allorquando ci si alza dal livello della distesa verde il paesaggio si apre generoso allo sguardo del viaggiatore. «Tutte le campagne dei dintorni, fino a Napoli sono coperte di vigne sostenute da alberi, pioppi o aceri, piantati in linea retta a formare dei larghi viali. Si tirano i tralci nella direzione degli alberi; e al momento in cui riescono a toccarsi reciprocamente, si legano insieme: in questo modo, quando la foglia cresce e i grappoli crescono sui tralci allungati orizzontalmente, il peso dà loro una curvatura a festoni, che produce un effetto affascinante. Figuratevi tutta una campagna così ornata di ghirlande, di verdura e di frutti che prendono colore e le terre al disotto ben coltivate a grano, tuberi, ortaggi o prati artificiali e avrete un’idea di questo eccellente e bel paese. È, fino a Napoli, un orto continuo, con paesi e case di campagna in gran numero e viali superbi. In pianura il colpo d’occhio è limitato; ci si trova come in una foresta; ma la minima altura dispiega con pompa e magnificenza tutte queste ricchezze della natura» [10].
Diversa è l’opinione di Pierre Adrien Pâris, architetto, che ha occasione di visitare più volte il regno di Napoli. Nel journal del 1774, sostanzialmente contemporaneo a quello di Roland de la Platière, si legge che la pianura «è bella e ben coltivata» [11]; in un viaggio successivo, la cui testimonianza odeporica si limita ad una lettera, Pâris si attarda sul paesaggio aversano dandone un commento da cui traspare un senso di spiacevolezza dato dall’angustia del coup d’œil, unito al disincanto nei confronti di una campagna tanto produttiva, ma priva dei reperti archeologici così cari all’autore. «L’effetto di queste campagne è più bello nella descrizione che nella realtà. Il primo colpo d’occhio incanta, ma ben presto la noia sopraggiunge, poiché queste alberate monotone chiudono la vista e non lasciano scoprire nulla di una regione d’altra parte così interessante» [12].
Il giudizio, espresso nel 1807, si può avvicinare all’assenza di pittoresco lamentata da Chateaubriand negli stessi anni, «la regione è fertile, ma poco pittoresca». La campagna ben coltivata è solo una delle componenti necessarie per il beau pays.
Le guide settecentesche, generalmente attente agli ingressi di città, segnalano l’apparato vegetale della via Appia che conduce a Napoli[13]: inserito nella stessa logica agraria, presenta un duplice, consueto, alto filare di viti maritate ai pioppi, i cui festoni inducono il marchese de Sade, presente a Napoli nel 1776, a pensare ad una strada parata a festa.
«Una strada superba, fiancheggiata su entrambi i lati da grandi pioppi e ornata di pampini. Insomma, tutto dà l’impressione di una festa» [14].
Ilaria
Agostini
RIVISTA DI
ARCHITETTURADEL PAESAGGIOI
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